Ancora su drusi e yazidi

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Ancora su drusi e yazidi

Un nuovo articolo, il nono, del nostro collaboratore Silvio Marconi per la serie eterodossieeresie o, semplicemente sincretismi nell’Islam”.

Il primo riporta il titolo della serie. Per leggerlo cliccare qui!

Leggi il secondo articolo: Aicha e il Sufismo.

Leggi il terzo articolo: Islam, confraternite, esoterismo e dintorni.

Leggi il quarto articolo: Drusi e dintorni.

Leggi il quinto articolo: Islam e marabuttismo.

Leggi il sesto articolo: Ancora su marabuttismo e suoi dintorni.

Leggi il settimo articolo: Il caso estremo degli yazidi.

Leggi l’ottavo articolo: Sincretismi, Islam e carovaniere.

L’immagine è ripresa da questo sito.

 

Abbiamo parlato dei drusi e degli yazidi, due realtà apparentemente molto differenti fra loro, tanto che i primi sono largamente considerati “musulmani” (sia pure “eterodossi”) da molti aderenti alle diverse correnti dell’Islam, naturalmente eccezion fatta per i soliti wahabbiti e per i tagliagole dell’ISIS e dintorni, oltre che da molti occidentali (media compresi) e certamente sono trattati come tali nel mosaico etnoreligioso e politico libanese, mentre i secondi sono considerati una vera e propria anomalia non-islamica, più ancora che come “eretici”, quando non criminalizzati falsamente come “adoratori di Satana” da molti musulmani e da molti cristiani, mediorientali ed occidentali, salvo farne delle vittime degne di attenzione mediatica solo quando diventano obiettivo delle stragi dell’ISIS….

 

 

Iniziando a comparare drusi e yazidi

Eppure, se le realtà drusa e yazida vengono analizzate comparativamente, non solo si possono scoprire elementi che le rendono fra loro meno distanti, ma si possono anche capire meglio alcune delle questioni del rapporto fra presunte “eterodossie”, reali catene polisincretiche e talune caratteristiche particolari comuni a diversi movimenti e tendenze che hanno a che fare con il mondo islamico, ma non solo.

Il primo elemento interessante è quello della centralità della “dissimulazione” nelle due realtà; dissimulazione intesa in vario modo, ovvero sia verso gli “estranei” alla comunità, sia verso coloro che fanno parte di livelli iniziatici inferiori nell’ambito della stessa comunità. Si è già parlato di questo aspetto relativamente ai drusi, ma è utile fare alcuni cenni ad esso relativamente agli yazidi.

 

 

Un testo interessante

Un testo interessante sugli yazidi, da cui trarre alcuni esempi inerenti questo tema, è quello di Giuseppe Furlani dal titolo La Religione degli Yezidi, edito come terzo volume della collana “Testi e Documenti per la Storia delle Religioni” a cura del grande fondatore della Scuola di Antropologia Storico-Religiosa dell’Università di Roma Raffaele Pettazzoni; il volume è stato pubblicato a Bologna nel 1929.

Furlani riporta in Appendice (pgg. 92-102) un Memoriale che i leaders della comunità yazide residente nei dintorni di Mossul fecero pervenire al Sultano Abdul Aziz attraverso il suo inviato Tahir Bey quando costui fra il 1872 ed il 1873 cercò di arruolare i maschi yazidi nell’esercito ottomano; il Memoriale elenca quattordici presunti motivi di incompatibilità che impediscono agli yazidi di espletare tale dovere militare e quel che ci interessa qui è il fatto che in esso si usano una serie di falsificazioni, estremizzazioni, invenzioni dissimulative che fanno vedere chiaramente come i leaders yazidi possano tranquillamente mentire ufficialmente ad autorità non-yazide e stravolgere le proprie stesse regole  e credenze per ottenere uno scopo preciso.

Ad esempio, al punto (1) si afferma che “ogni membro della nostra setta, piccolo o grande, donna e ragazza, deve visitare tre volte all’anno, cioè per la prima volta dal principio alla fine del mese Nisan secondo il calendario romano, la seconda dal principio alla fine del mese Ilul, la terza dal principio alla fine del mese Tisrin attani, l’immagine del Pavone Angelo” nella casa dell’Emiro, mentre in effetti tali immagini vengono portate in giro nei diversi villaggi e non è affatto necessario recarsi tre mesi in un unico sito; al punto (5) si afferma: “Quando i musulmani cominciano alla mattina la loro preghiera (…). Se qualcuno di noi sente ciò egli deve uccidere l’orante stesso e se stesso” il che è palesemente falso dato che gli yazidi in larga misura vivono in regioni in cui all’epoca  i musulmani sono larghissima maggioranza e tali uccisioni non avvengono affatto. Altre fantasiose affermazioni del memoriale riguardano (punto 6) i rituali da svolgersi accanto ad un morente yazida e il divieto di presenza di aderenti ad altre credenze sul luogo di simili morti, che Furlani ricorda essere assente da qualsiasi descrizione delle pratiche yazide dei viaggiatori che li hanno visitati e da ogni altro scritto degli stessi yazidi; lo stesso avviene (punto 8 del memoriale) circa obblighi relativi al digiuno degli yazidi, ampiamente esagerati e rielaborati, circa il non poter più giacere con la propria donna dopo un anno di assenza da casa (punto 9), cosa che non è affatto codificata fra gli yazidi ma suona bene per la sua incompatibilità col servizio militare, circa il non poter bere o mangiare da contenitori usati da non yazidi (punto 13), che è una estensione falsa del vero principio di non poter bagnarsi assieme ad essi.

Un altro interessante esempio che fonde dissimulazione e volontà di aprirsi opportunisticamente/resistenzialmente alla configurazione di nuovi sincretismi è dato dal testo, sempre riportato in Appendice da Furlani, di quello che uno dei loro leaders, Miran Ismail Bey Abdi Bey Oglu Nazli Rahani, sheikh degli yazidi di Mossul, compila nel dicembre 1908 intitolandolo “Catechismo degli yazidi” (e già il nome è tutto un programma, avendo evidente matrice cristiana) per le autorità….russe della zona di Erevan (dove, come in altre parti dell’Armenia, esistevano comunità yazide), che intendevano comprendere le credenze yazide e la loro compatibilità con le regole di uno stato russo che, giova ricordarlo, vedeva un intreccio profondo fra Zarismo e Chiesa Ortodossa. In questo caso il testo, scritto in kurdo e tradotto in russo, ha un obiettivo opposto a quello del citato Memoriale; se quello intendeva inventare motivi di incompatibilità fra essere yazida e fare il soldato (per gli ottomani, nel caso), questo intende moltiplicare gli elementi che rendano agli occhi dei russi compatibile l’essere yazida e l’essere suddito dello Zar leale ed inoffensivo! Si parte (ibidem, pgg.109-117) dal dire che il profeta dello yazidismo è Yazid, mentre sappiamo che era ‘ADI, ma così si dà una spiegazione plausibile del nome “yazida” e si evita ogni riferimento ad altre possibili spiegazioni che potrebbero favorire la criminalizzazione del gruppo come “adoratori di Satana”; immediatamente dopo si afferma; “Gli yazidi non hanno nessuna scrittura. La parola di Dio viene comunicata dagli antenati ai discendenti secondo la tradizione Gyli-e azim” ma Furlani giustamente nota che non solo non è affatto vero che gli yazidi non hanno testi sacri, ma che il nome Gyli-e azim in kurdo deriva dalla pronuncia gyli della parola araba gilwahche «è proprio il titolo del principale testo sacro degli yazidi» e Furlani nota a questo proposito che la spiegazione dell’apparente contraddizione sta nel fatto che “devono sempre affermare che non hanno scrittura perché quest’ultima è segreta. Un altro motivo che può concorrere a questo inganno sta nel fatto che i cristiani ortodossi hanno un particolare rifiuto verso coloro che affermano di possedere testi sacri diversi da quelli biblico-evangelici e quindi negarne l’esistenza favorisce l’accettazione degli yazidi da parte dei russi.

Del resto, nella parte conclusiva del testo, si arriva ad affermare che gli yazidi “possono far uso degli alfabeti degli altri popoli, poiché non hanno alfabeto proprio”, mentre invece esiste eccome un alfabeto yazida, ma, come nota anche Furlani, esso è segreto (lui dice giustamente “crittico” ossia criptico) ed è quello in cui sono scritti i testi sacri yazidi, di cui si è negata l’esistenza!

 

 

Ancora sugli yazidi

Si afferma poi che gli yazidi  avrebbero fra i loro sacri principi il trattare sempre con rispetto gli altri popoli, il che è falso, tanto più che per gli yazidi gli “altri” sono portatori di falsificazioni religiose; si inserisce nelle norme sacre quella che invece è semplice accettazione della prassi che vede le autorità russe dover confermare la nomina dei giudici comunitari (qadì) da parte della leadership spirituale yazida e si conclude dimostrandosi aperti all’istruzione, anzi affermando che scuole ed educazione fanno parte dei doveri sacri degli yazidi, mentre in effetti si è dimostrato assai difficile per tutti i poteri statuali che hanno avuto a che fare con gli yazidi costruire programmi e testi educativi visto che gli yazidi rifiutano (stavolta, sì, rigorosamente) l’uso in qualsiasi occasione e testo ed in qualunque lingua non solo della parola “Satana” e di tutte quelle equivalenti (“demonio”, “diavolo”, ecc.) ma addirittura, secondo Furlani (che naturalmente va contestualizzato al 1929, ossia ad assai prima di decenni di scolarizzazione obbligatoria in Siria, Iraq, Urss, ecc.) di tutte  quelle che iniziano con la lettera araba sin.

 

 

Di nuovo comparando yazidi e drusi

Il secondo elemento è quello relativo alla chiusura dell’appartenenza, ossia al fatto che yazidi e drusi non permettono ingressi nelle loro comunità attraverso conversione e consentono di farne parte solo a chi vi nasce da genitori già appartenenti entrambi ad esse.

Il terzo elemento, che come già accennato si ricollega al primo, è quello inerente alla organizzazione interna basata su livelli iniziativi distinti e che assieme al primo dà vita ad una realtà di conoscenza esoterica differenziata sulla base del livello a cui si appartiene, un principio che è peraltro diffuso anche in ambiti islamici differenti, in particolare fra gli ismailiti, e che verrà successivamente copiato da realtà cristiane, inclusi i famosi “Ordini Mistico-Combattenti” (Cavalieri Templari, Ospitalieri, Cavalieri Teutonici, ecc.). I semplici yazidi sono detti murid, non possono intrecciare relazioni matrimoniali che all’interno della loro categoria ed hanno il dovere del pagamento di offerte (obbligatorie, dunque si tratta di decime) alle altre categorie di yazidi; sopra di essi si collocano i faqir, termine arabo che vuol dire sostanzialmente “asceta” e che ritroviamo nel “fachiro” indiano e sono gli operatori sacrali di base, una sorta di sacerdoti, grandemente stimati ma privi di effettive conoscenze esoteriche di alto livello, sebbene passino attraverso un processo di iniziazione.

I faqir sono guidati da un kak, ossia un “maestro”, che deve osservare il celibato, ed ha una sede fisa, che all’epoca in cuio scriveva Furlani era presso Aleppo; a questo livello, a differenza che nei livelli superiori, esiste anche una corrispondente organizzazione femminile di faqrayah (“ascete”), guidate da una kabana.

220px-pir_dastgirIl grado superiore è quello dei pir, termine di derivazione significativamente iranica che vuol dire “anziano” e che quindi dovrebbe equivalere a sheykh arabo, sebbene invece per gli yazidi i due termini indichino due gradi distinti; hanno un ruolo di operatori cultuali-rituali di comunità a livello ristretto e la loro conoscenza dei testi sacri è limitatissima. Salendo di grado arriviamo agli sheykh, che amministrano l’equivalente di una sorta di diocesi territoriali

Alla sommità si colloca l’”Emiro”, considerato infallibile in quel che riguarda la sfera sacrale.

Inoltre, gli sheykh  yazidi sono divisi in tre gruppi diversi (in passato cinque), sulla base di un capostipite reale o mitico: Huseyn. Sams o Bekr, e tali gruppi sono endogamici, nel senso che non solo un non appartenente al “clero” non può mai maritarsi con una donna figlia di uno sheykh, ma anche che ci si deve maritare dentro il proprio lignaggio (con l’unica eccezione del leader massimo yazida, l’”Emiro” che sposa chi vuole). La stessa regola endogamica vale per i due lignaggi in cui sono divisi i pir.

Un ulteriore aspetto che preme notare è che sia i drusi che gli yazidi, in modo diverso, come si è già accennato, hanno incorporato sincreticamente nelle loro credenze e pratiche elementi di origine cristiana e che entrambi hanno anche, nuovamente in forme differenti, sia rapporti con le concezioni della metempsicosi di derivazione indiano-ellenistica, sia con le tendenze ismailite e con quelle sufiche islamiche.

Infine, entrambe queste realtà, anche grazie/a causa della loro chiusura endogamica, hanno dato origine a situazioni di radicamento territoriale con nuclei fortemente omogenei in rapporto a località da loro sacralizzate, secondo, peraltro, una strategia che è stata propria anche di altre realtà, fra cui la setta, di ascendenza ismailita, dei cosiddetti Hashishin, resa nota in Occidente da…Marco Polo ma in effetti ben conosciuta dai Crociati e dalla cui denominazione, per i motivi che si vedranno in seguito, è nata addirittura la parola stessa “assassino” (usata fra i primi in una sua poesia da Ciullo d’Alcamo alla corte di Federico II a Palermo)

Non ci si addentrerà qui in altri aspetti dello yazidismo, come del resto non lo si è fatto per i drusi; quello che si vuole sottolineare è come due realtà in apparenza diversissime e che hanno anche avuto differente considerazione da parte dei musulmani e dei cristiani mediorientali ed occidentali, abbiano invece elementi se non di contenuto certo di metodologia e concettuali simili e perfino comuni. Tale comunanza non deriva né dalla casualità, né da un rapporto diretto fra le due realtà e quindi, tanto meno, dalla “gemmazione” dell’una dall’altra che non è mai avvenuta storicamente, bensì proprio dal meccanismo dei polisincretismi che ha innervato e reso quel che sono entrambe le realtà in esame e non solo loro.

 

 

Conclusioni

Resterebbe da notare come tale meccanismo abbia influito grandemente, in forma diretta ed indiretta, e continui ad influire anche nei modi di porsi verso quelle realtà di attori politici (e politico-religiosi) sia dell’area mediorientale, sia di altra origine ma che hanno avuto ed hanno un ruolo in tale area e qui gli esempi sarebbero numerosi.

Si pensi solo al fatto che la forte solidarietà dimostrata dai kurdi, che nella fascia fra Nord della Siria e Nord dell’Iraq sono maggioritariamente musulmani sunniti, verso le comunità yazide aggredite e massacrate dall’ISIS nel 2015-2016 non si è basata tanto su una sorta di “internazionalismo” o di semplice essere amici dei nemici del mio nemico, ma anche sul fatto che le origini culturali di quella comunità sul piano per lo meno linguistico (e non solo) sono kurde, sebbene tanti yazidi iraqeni e siriani siano ormai arabizzati linguisticamente.

Al tempo stesso, mentre non si può entrare nella comunità yazida, e mentre è vietata dalle loro norme l’apostasia, non vi è dubbio che vi siano stati numerosi yazidi che nel corso dei decenni di potere laicista e panarabista siriano e iraqeno si sono secolarizzati al punto da fuoriuscire dalla loro comunità di origine, non solo linguisticamente e culturalmente (sebbene non sempre del tutto) ma anche in termini religiosi ed ideologici, e che nelle aree che non sono configurate come comunità chiuse yazide o a larghissima maggioranza yazide viva anche una popolazione che si potrebbe definire di ex-yazidi o di “semi-yazidi” nel senso che sono di origine yazida, non hanno perso del tutto elementi culturali e rituali yazidi, ma non praticano più lo yazidismo in forma stretta. Costoro sono emarginati dalla comunità yazida (che li considera apostati) ma sono considerati comunque “cani miscredenti” dalle componenti integraliste musulmane e “adoratori di Satana da sterminare” dall’ISIS e la loro sorte è forse la più drammatica.

In parte diversa è la realtà drusa, perché più pronta all’occultamento, alla dissimulazione delle proprie concezioni quando non ci si trova in comunità druse, il che ha permesso di subire meno colpi da parte di nemici esterni.

Va anche detto che la tendenza di poteri esterni a sfruttare strumentalmente queste comunità è stata forte; nel caso dei drusi essi sono stati prima combattuti ma poi usati dagli ottomani come argine alla crescita dell’asse tra i cristiani delle regioni costiere siro-libanesi e le potenze coloniali europee, segnatamente la Francia, ma non sono mancati flirts dei drusi, in epoca recente, con i socialisti europei, con i sovietici, col regime di Damasco e, in Galilea, con lo Stato d’Israele. Nel caso degli yazidi, il tentativo ottomano di arruolarli del 1872-73 non era il primo; secondo Furlani, già si era provato a realizzare tale operazione nel 1847 ed il Sultano ottomano aveva dovuto desistere a seguito delle proteste….del britannico Canning, a riprova che gli inglesi non erano disinteressati rispetto a quella “anomalia” yazida, come non lo erano verso tutte le “anomalie” che potessero indebolire l’Impero Ottomano, salvo essere perfettamente pronti a schierarsi (nella Guerra di Crimea, solo pochi anni dopo: 1853-1856) a fianco degli stessi ottomani contro il vero nemico storico dell’Impero Britannico nell’arco che va dal Mar Nero al Kashmir ed oltre, ossia la Russia.

 

I libri di Silvio Marconi

 

Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.

 

Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).

Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro