Barboni sì ma in casa propria: prefazione.

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(Varanasi 1/8/2010 – Londra 23/4/2011)

Ma che cosa c’è in fondo a quest’oggi,
di mezza festa e di quasi male,
di coppie che passano sfilacciate,come graze stese
contro il secco cielo autunnale,
di gente che si frantuma in un fiato
senza soffrire, senza capire
e i tuoi pensieri sono solo uno iato
tra addormentarsi e morire…

(Francesco Guccini, Signora Bovary)

 

 

 

Libertà, l’ho vista dormire nei campi coltivati
a cielo e denaro, a cielo ed amore
protetta da un filo spinato.
Libertà, l’ho vista svegliarsi ogni volta
che ho suonato,
per un fruscio di ragazze a un ballo,
per un compagno ubriaco.

(Fabrizio De Andrè, Il suonatore Jones)

 

Sono alla soglia dei quarant’anni, da quasi 5 vivo buona parte del mio tempo in India assieme ad una maestra di Yoga, separata con una figlia quindicenne.
Scrivo da oltre 20 anni ed ho recentemente fondato la Viverealtrimenti Editrice.
Ho iniziato scrivendo poesie, mentre si disfaceva il muro di Berlino e quanto aveva, fino a quel momento, rappresentato.
Scrivere è subito diventata, come spesso accade, una sorta di terapia cui si è presto affiancato, in alternativa a pomeriggi da muretto o a sterili strusci cittadini, un desiderio di coinvolgimento in un dibattito politico allora piuttosto acceso in Italia. Erano anni in cui, pur malconcia, continuava a mantenere un suo protagonismo intellettuale l’ideologia.
Finito, barbaramente, il liceo linguistico, mi sono iscritto alla facoltà di sociologia di Roma. Il bisogno di sviluppare un percorso di crescita autonomo mi portò presto a Trento, nella storica facoltà italiana di sociologia. Lì, non ebbi una brillante carriera universitaria, compensata dalla scoperta delle tante sfumature bohèmiennes della vita dello studente fuorisede. Nel ’94 sono nuovamente a Roma. L’acquisizione di una casa della mia famiglia mi permette, affittandone una stanza, di mantenermi, spartanamente, agli studi. Il trasferimento nell’appartamento di Roma ha ispirato il titolo di questa raccolta. Se il barbonismo può rendere liberi, pensavo, fare i barboni con un tetto sulla testa può essere un virtuosa chiusura del cerchio. Non voleva essere, naturalmente, una considerazione affetta da serietà.
Da alcune vecchia abitudini trentine prendevano forma figure fantastiche come Ciarpame Psichedelico, Buddhagnomo e Mammanarchia, ad animare le pagine di questo testo.
Giunse l’incontro con un maestro spirituale che buon successo ha avuto e sta avendo in Occidente: Osho Rajneesh e l’inizio di una fase molto bella, sul calare dell’esperienza universitaria.
Decisi di laurearmi in sociologia della religione con una tesi sul suo insegnamento e sul movimento da lui creato. Nel 1998 feci dunque il mio primo viaggio in India, spendendo più di due mesi nella Osho Commune International di Poona.
Ricordo nitidamente, della mia prima esperienza nel paese, la scoperta della peculiare femminilità delle sue donne. Mi sconvolse molto di più dei famosi gruppi terapeutici che si facevano nella Commune.
Nuovamente in Italia, mi riappassonai al pensiero anarchico iniziando a collaborare con una libreria anarchica di Roma. Prese presto corpo il desiderio di vedere piccole/grandi esperienze di “anarchia realizzata”. Su un trimestrale del movimento trovai finalmente un indirizzo di un villaggio del popolo degli elfi, di cui avevo sentito parlare in diverse occasioni negli anni precedenti. Una domenica mattina partii.
L’incontro con gli elfi fu overwhelming, mi sembra quasi di risentire nitidamente il primo odore della loro comune, di rivedere i loro volti segnati da passati chiaramente difficili.
Ancora nell’ambito del movimento anarchico conobbi Angelo Quattrocchi e la sua neonata casa editrice Malatempora.
Con un amico/socio vendevamo i suoi libri nei centri sociali e nel corso di manifestazioni politiche e culturali. Si faceva, in altre parole, “editoria da strada”. Angelo si considerava difatti un beat, si era relazionato con diversi personaggi importanti di quel filone culturale ed esistenziale, ad esempio Allen Ginsberg (quando mi disse di averlo conosciuto aggiunse: credo di averci anche scopato!).
Frequentando, al contempo, l’ambiente vegetariano militante, proposi ad Angelo di scrivere un libro sul vegetarianesimo italiano. In particolare, ero rimasto affascinato da alcune correnti radicali: il crudismo, il fruttarismo o, compiendo un salto quantico oltre ogni compromesso, il liquidarismo.
Era un mondo che andava raccontato anche in virtù di un’esperienza piuttosto singolare con un eremita protocristiano, in una grotta non lontana da Roma.
Si chiamava Omero, era vegetariano crudista ed esperto di digiuni di ispirazione essena.
Angelo mi lasciò la libertà di scrivere a briglia sciolta quello che avevo vissuto e dei personaggi singolari che avevo conosciuto.
Nel 2002 ne venne fuori un bel libro: Vegetariani come, dove, perchè.
Angelo fu una sorta di bizzarro maestro per me. Sviluppammo un rapporto di controversa amicizia in quanto era noto che da Angelo bisognasse, in certa misura, anche difendersi.
Nel 2003 pubblicammo Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia e fu un vero piccolo capolavoro. Il viaggio alla scoperta del mondo comunitario italiano è presentato, a grandi linee, in un racconto di questa raccolta: Comuni, le andate ed i ritorni.
Due anni dopo ero in India per incontri cruciali e cruciali separazioni. Angelo è stato cremato nel giugno 2009 e, nello stesso giorno, ha visto la luce la Viverealtrimenti Editrice.
Oggi posso finalmente pubblicare il materiale di questa raccolta, concludendo questa prefazione, in una giornata di sole, in un bel caffè nella zona nord di Londra.

Cosa offre questo testo? Momenti di un percorso esistenziale articolato con qualche audace tentativo di universalizzazione. Azzardi poetici e narrativi, cadute autobiografiche, una maturazione sofferta, schizzi di un’umanità e frammenti di mondi che probabilmente meritavano di essere conosciuti.
È sicuramente il mio testo più personale e questo non può, in certa misura, che rappresentarne un limite.
Il movente a leggere questo libro può essere senz’altro la curiosità ma anche il desiderio di individuare ponti empatici e transpersonali. L’esperienza di ciascuno, difatti, è, in certa misura, l’esperienza di tutti (“perche’ siam tutti uguali”, cantava Guccini, “siamo cattivi e buoni e abbiam gli stessi mali: siamo vigliacchi e fieri, saggi, falsi, sinceri…coglioni”) e, come tale, può assurgere al ruolo di piccolo/grande insegnamento universale.
Fuor di questo, l’esperienza personale finirebbe per essere sterilmente autoreferenziale, effimera come la stessa vita individuale.
Non mi resta che augurarvi buona lettura!

Manuel Olivares