Il caso “estremo” degli Yazidi

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Il caso “estremo” degli Yazidi

Di seguito il settimo articolo del nostro collaboratore Silvio Marconi, per la serie: eterodossie, eresie o, semplicemente sincretismi nell’Islam”.

Il primo riporta il titolo della serie. Per leggerlo cliccare qui!

Leggi il secondo articolo: Aicha e il Sufismo.

Leggi il terzo articolo: Islam, confraternite, esoterismo e dintorni.

Leggi il quarto articolo: Drusi e dintorni.

Leggi il quinto articolo: Islam e marabuttismo.

Leggi il sesto articolo: Ancora su marabuttismo e suoi dintorni.

 

Introduzione

Gli yazidi sono ascesi alla ribalta mediatica in Occidente in modo terribile e tragico quando l’offensiva dei tagliagole del cosiddetto “Stato Islamico” ha raggiunto l’area di Mossul in Iraq, avviandone il genocidio e costringendone decine di migliaia a fuggire sul Monte Singar, dove sono stati soccorsi in parte da kurdi e stati oggetto di aiuti aerei occidentali. Prima di allora, in Occidente, solo pochi studiosi ne conoscevano l’esistenza e anche durante e dopo tale tragica epopea i media e, spesso, molti commentatori, “cultori della materia”, “tuttologi” interpellati si sono affannati ad accumulare sciocchezze, imprecisioni, falsità, stereotipi su di loro, che peraltro riprendono in larga misura quelle diffuse per secoli sia da protagonisti regionali che da viaggiatori occidentali e da accademici europei.

Tutto ruota attorno ad un aspetto delle concezioni degli yazidi, che li colloca, agli occhi di tanta parte dei pochi Occidentali che se ne sono occupati e dei molti soggetti regionali (essenzialmente musulmani) che hanno avuto in vario modo a che fare con loro negli ultimi secoli in netta posizione di estraneità e contrapposizione all’Islam e che ne fa per i tagliagole del cosiddetto “Califfato Islamico” come per molti altri soggetti regionali degli “apostati” della peggior specie, appunto destinati allo sterminio. Questo aspetto consiste in quella che viene artificiosamente chiamata “adorazione di Satana” o “del Diavolo” e che invece rappresenta soltanto un elemento di quella che costituisce un esempio assai significativo per il suo “estremismo” non di una “eresia” (o “apostasia”) islamica, né di una concezione “idolatrica” o “satanistica” ma di un sistema di polisincretismi dalla eccezionale complessità, dovuto a ragioni storico-geografiche.

Per questo si è deciso di spendere, sinteticamente, alcune parole su di loro, ad esemplificare quanto la fabbricazione di stereotipi fondata su quella negazione della dimensione sincretica (cara agli integralismi di ogni segno, religiosi o laici che siano) che è, in fondo, semplicemente una forma di razzismo neppure tanto velato, possa costituire base e legittimazione per concezioni e pratiche discriminatorie che facilmente giungono fino al genocidio.

 

Terre a presenza yazidica

Fino agli anni ’20-’30 del secolo XX, ossia prima che i mutamenti modernizzanti delle società siriana ed iraqena producessero nuove dislocazioni di popolazione, gli yazidi erano segnalati in quell’area fra Mossul, Baghdad, Aleppo e le regioni a predominanza etnoculturale kurda dell’Anatolia (oltre che sul monte Singar) che rappresenta non a caso la cerniera fra culture differenti ma non estranee fra loro fin dai tempi delle antiche civiltà mesopotamiche e che, per di più, è stata nel corso dei millenni luogo di intreccio anche violento fra società di matrice iranica, anatolica, siro-palestinese e di influssi dal Mediterraneo, dall’India, dall’Egitto, dalla penisola araba e dato che si sono citati i kurdi, giova precisare che la lingua parlata dagli yazidi è appunto appartenente alla famiglia linguistica kurda, il che farebbe classificare gli yazidi stessi fra i kurdi e le loro concezioni come una delle molteplici forme di cultualità kurda. Sarebbe qui il caso di ricordare di sfuggita come molti Occidentali (compresi molti progressisti innamorati delle correnti più “progressiste” dei movimenti politico-militari kurdi attuali) considerino i kurdi come una entità omogenea o al più ammettano una reale distinguibilità fra i kurdi iraqeni, più segnati da logiche clanico-feudali anche nella post-modernità, e quelli turco-siriani, più aperti ad influenze progressiste, federaliste, di “democrazia popolare”, mentre in realtà l’unica cosa che unifica i kurdi è la dimensione linguistica (e questo non tenendo conto delle profonde differenze fra i dialetti kurdi….), perché ad esempio, prescindendo da aliquote modernamente laicizzatesi, esistono kurdi musulmani (sia sunniti che sciti, peraltro….), ma anche kurdi Cristiani, perfino gruppi di kurdi ebrei e, appunto….gli yazidi.

 

Concezioni religiose degli yazidi

Le concezioni religiose yazide sono in essenza monoteiste, come del resto, non a caso, la quasi totalità di quelle dell’area mesopotamica successiva al crollo delle civiltà antiche della regione, e se esse includono una serie di figure semidivine, intermedie fra Dio e gli uomini, ciò non è lontano dalle concezioni “angeliche” che caratterizzano le varie correnti cristiane e musulmane e che hanno a che fare peraltro con le concezioni indo-iraniche; proprio dalle concezioni dualistiche iraniche, gli yazidi traggono quell’elemento che è servito per criminalizzarli come “adoratori del Demonio”, ma va ricordato che l’influsso di quelle concezioni dualistiche è forte sia in molte correnti del pensiero islamico (specie sciita), sia in correnti del pensiero cristiano e di quelle che in tale ambito la Chiesa ha bollato come “eresie” o rischiato di bollare come tali (quali i bogomili, i catari/albigesi, ma anche in parte lo stesso francescanesimo). In ambito islamico, ciò che si avvicina di più al pensiero yazide sono le concezioni dell’Ismailismo sciita, culla di numerose correnti a forte caratterizzazione sincretica, e quelle (collegate ad esse) dei drusi. Gli yazidi, dunque, ritengono che l’Angelo caduto che nel Cristianesimo è Satana e che nel Corano è Iblis, si sia pentito della sua ribellione a Dio e che Dio lo abbia perdonato, riportandolo al ruolo di Re degli Angeli, con caratteristiche peraltro semidivine e al tempo stesso di guida profetica degli uomini. Dalla sorgente dualistica ― fortemente presente nelle regioni irano-mesopotamiche prima delle affermazioni del Cristianesimo e, successivamente, dell’Islam (ed ha pertanto innervato entrambi attraverso processi, appunto, sincretico-resistenziali) ― gli yazidi traggono molti elementi ma per loro non esiste una contrapposizione fra un Dio “buono” ed uno “cattivo” che pure è l’asse portante del dualismo iranico, posto che appunto l’Angelo caduto e perdonato (Melek Ta’us) non si contrappone al Dio Creatore “buono”, ma anzi ne è addirittura il delegato semidivino, che opera per il bene degli uomini mentre Dio non interviene, secondo uno schema di “Creatore assente” che non si ingerisce direttamente (se non eccezionalmente) nella realtà umana ben noto in Antropologia.

A conferma che Melek Ta’us non è il polo oppositivo a quello del “Bene” di Dio, come invece accade nel vero dualismo iranico, sta il fatto che gli yazidi interpretano il Male in modo totalmente antropocentrico, ossia credono che esso sia tale solo visto da una prospettiva umana e che sia del tutto assente nella dimensione divina e semidivina. Ben maggiori sono gli elementi che permettono di collocare gli yazidi nell’alveo di tradizioni islamiche, peraltro esse stesse sincretiche, compresa la caratterizzazione stessa di Melek Ta’us come “Angelo Pavone” che deriva direttamente da una leggenda musulmana secondo la quale il pavone fu l’animale che aiutò il serpente a sedurre Eva nel Paradiso Terrestre e quindi è collegato (o identificato addirittura) con Iblis, il Satana dei Cristiani e dei Musulmani ma, appunto, l’Angelo caduto che per gli yazidi viene perdonato e reintegrato da Dio. Secondo i musulmani drusi, poi, fu addirittura direttamente il pavone e non il serpente a sedurre Eva, anche perché il serpente ha un aspetto meno….seducente del pavone. Va a questo punto fatta una serie di precisazioni; innanzi tutto si deve ricordare che l’Angelo scacciato dal paradiso e dai suoi poteri (era a capo di tutte le schiere angeliche) da Dio nelle tradizioni ebraica, cristiana e musulmana non viene punito per la seduzione di Eva, che avviene invece successivamente alla “caduta” ma per il rifiuto di rendere omaggio all’uomo, creato da Dio, che è violazione di un ordine esplicito di Dio, ossia per una sorta di crimine di “lesa maestà” che, ovviamente, non sussiste nelle concezioni dualistiche iraniche, posto che in esse i due poli opposti sono entrambi…”maestà”. Purtuttavia, il pavone è simbolo di maestà imperiale nelle culture iraniche fin dalla protostoria (e per questo allevato nei giardini di corte) e quindi associato direttamente alla concezione di sovranità e la denominazione yazida Melek Ta’us accentua ed esplicita questa simbologia con l’uso del termine melek che significa proprio “re, sovrano”. Al tempo stesso Melek Ta’us viene talora identificato con Gesù/Issa, come profeta, qualifica che l’Islam tutto accetta per Gesù; al tempo stesso sembra che Gesù sia considerato dagli yazidi come una figura profetica a parte, chiamata “Luce di Dio”, ma va ricordato che gli yazidi riconoscono decine di migliaia di profeti, fra cui inseriscono Adamo come “primo profeta” (anche questo non in contrasto con l’Islam) ma anche tantissime altre figure diverse, figlie di numerosi sincretismi: è il caso dell’inserimento tra i profeti yazidi della parte di comunità finita in Armenia a causa delle persecuzioni ottomane di San Sergio e dei padri della Chiesa Armena!

Un altro elemento importante che connette strettamente gli yazidi all’ambito musulmano è il fatto che il loro centro sacrale principale consiste nella tomba di un eminente personaggio del Sufismo, Sheyk ‘Adi, che nella loro concezione diventa un profeta alla pari dello stesso Mohammed e addirittura una figura semidivinizzata; certamente siamo lontani da un Islam coranico che considera il Profeta Mohammed come il sigillo del ciclo profetico, ossia nega la possibilità di ulteriori profeti ma non mancano, nel cuore stesso dell’Islam, in particolare sciita e specificamente ismailita (ma anche in parte nelle concezioni marabutti che in ambito sunnita maghrebino) evidenze di “costruzione di figure profetiche” post-muhammediane. Sheik ‘Adi è in effetti una figura di riformatore islamico e fondatore mitico della comunità yazide configurato sulla figura storica di ‘Adi ibn Musafir, un maestro sufi vissuto però nel XIII secolo,  nato nella regione di Baalbek, che si ritirò, secondo una tipica modalità ascetica sufica, nella zona inospitale ad oriente di Mosul, dove fondò un santuario (una zaouia) e scrisse numerose opere teologiche, dando vita come tutti i grandi maestri sufi ad una confraternita, detta dal suo nome ‘Adawiyyah e la concezione che appare nelle sue opere non corrisponde a quella degli yazidi, che pure affermano ad esempio che taluni loro poemi sono stati creati dal maestro e che ne venerano la tomba come il loro luogo più sacro; ciò proverebbe che gli yazidi hanno operato un ulteriore sforzo sincretico, mescolando ad elementi reali sia della biografia di ‘Adi che delle sue forme organizzative sufiche elementi come si è detto di matrice iranica, ma si potrebbe aggiungere indo-iranica, posto che gli yazidi credono nella metempsicosi!

Storicamente, il rapporto fra yazidi e correnti islamiche non è chiaro e gli studiosi sono discordi su tale tema: alcuni sostengono che essi siano stati i seguaci di Yazid ibn Unaish, e che divennero una corrente autonoma nell’VIII secolo.

 

La lingua degli yazidi

Né ci aiuta l’analisi dell’evoluzione culturale e linguistica degli yazidi che, semmai, conferma solo un carattere polisincretico che resta l’elemento di massimo disturbo per tutti i loro nemici e perfino per molti dei loro occasionali “amici” quali quei kurdi che hanno largamente contribuito a salvarli dal genocidio orchestrato dai tagliagole del sedicente “Califfato”. Si è detto infatti che la lingua degli yazidi appartiene alla famiglia kurda e si potrebbe aggiungere che solo i processi di scolarizzazione nelle Siria ed Iraq pre-crisi, laiche, hanno portato ad un’ampia conoscenza della lingua araba, pressoché ignota a tale comunità fino agli anni ’20-’30 del secolo XX; nelle attività cultuali e rituali, nei loro inni sacri, nella denominazione delle loro figure eminenti (che hanno larga corrispondenza nel meccanismo dei cultu marabuttici maghrebini e delle pratiche devozionali sufiche), però, gli yazidi usano non solo alcuni termini di matrice turca (figli certamente di secoli di dominio ottomano), ma anche e soprattutto la lingua araba, probabilmente in larga misura a causa dell’uso di tale lingua come lingua sacra nell’Islam ma la lingua araba è usata anche in molti racconti e leggende dal substrato assai antico degli yazidi, cosa che ha fatto pensare ad una loro originaria arabofonia e quindi ad una loro origine nelle aree meridionali siro-mesopotamiche, seguita da una migrazione, probabilmente forzata, verso Nord.

Anche la denominazione stessa di “yazidi” (o ”yezidi” o “ezidi” o “izidi”) non ha origini chiare ed univocamente stabilite; ad esempio è interessante notare che yazada  (in lingua avestica) e ized (on Neopersiano) è la denominazione di esseri angelici (il termine significherebbe “degni di adorazione”) delle antiche religioni iraniche, dove peraltro il termine per Dio è  Yazdan e così stidiosi come Badger nel 1851 fanno discendere il termine con cui gli yazidi che autonominano dal concetto di “adoratori di Dio” mutuato dalle lingue persiane mentre Furlan negli anni ’20-’30 del secolo XX propende per il riferimento agli angeli (e quindi yazidi vorrebbe dire “adoratori degli angeli”), sempre però di matrice iranica, la quale influenza certamente in modo sincretico aspetti rilevanti delle concezioni yazide, a partire dal numero degli “Angeli superiori” (potremmo “cristianizzare” in “Arcangeli”) che in entrambi i casi è di sette. Va però notato che questi elementi di matrice iranica si fondono pienamente nelle concezioni yazide con altri originatisi in ambito islamico; così i sette “Angeli superiori” vengono fatti coincidere con grandi maestri del pensiero islamico, in particolare sufico.

 

Conclusioni

Contemporaneamente, altri elementi di matrice iranica presenti nello Yazidismo sono i rituali centrati sul fuoco, sul sole e sulla luna; anche il nome del personaggio sufi che segna il centro dello spazio rituale yazida, ‘Adi, è non a caso in rapporto con Adar, che nelle concezioni iraniche pre-islamiche era il signore degli angeli ma anche il principio del fuoco e va ricordato che elementi di quelle concezioni sono sincreticamente presenti, del resto, nello stesso testo Coranico, dove mentre gli esseri umani sono creati da fango nero, gli angeli sono creati dal fuoco (ed è per questo che Iblis rifiuta di rendere omaggio all’Uomo, che ha radici più “materiali” ed umili di lui….).

Gli Arabofoni chiamano la comunità degli Yazidi Yazidiyyah, e questo li colloca schematicamente nella griglia delle confraternite, ne sottolinea il carattere di “setta” più che di “gruppo etnico”, il che conferma che gli yazidi possono perfettamente non avere una origine univoca in termini etnico-geografici ma essere, invece, una classica comunità nata a partire dall’etnicizzazione di una setta/confraternita, come del resto è avvenuto per i drusi; per “etnicizzazione” si intende il fatto che una setta/confraternita si chiude endogamicamente (spesso per reazione a discriminazioni altrui, ma anche sulla base di concezioni puristiche di auto-ghettizzazione) e col passare delle generazioni configura una comunità rigida sul piano etnico e degli insediamenti spaziali.

In un’interessante convergenza, lo stereotipo di “Adoratori del Diavolo” incollato sugli yazidi è stato condiviso sia dai missionari e da molti studiosi cristiani che da quelli musulmani, che appiattirono la concezione yazida su un banale “satanismo, eppure, in ambito islamico, tale appiattimento appare soprattutto figlio del convergere di tre tendenze: la costruzione del “nemico da sterminare” cara ai potenti che vedevano negli yazidi (come in molta parte dei kurdi, salvo che nelle fasi di loro strumentalizzazione, magari contro gli armeni….) degli inveterati ribelli al centralismo statuale, le tendenze ferocemente integralisti che nemiche di ogni polisincretismo e le faide claniche in cui si necessita di presentare il “vicino” come “nemico” agli occhi pel potere a cui si chiede soccorso. Nella tradizione islamica, però, addirittura gli yazidi vengono fatti risalire all’azione di Yazid, figlio del secondo califfo della dinastia Omayyade Muawiyah (VIII secolo), con sede a Baghdad; nella tradizione yazida, questa figura viene volutamente confusa con lo stesso Melek Ta’us. Riassumendo, ci troviamo di fronte ad una forma estrema di polisincretismo, meno estranea all’ambito islamico di quanto molti abbiano interesse (diverso) a credere e far credere, ma certamente assai lontana dall’idea che ci si fa comunemente dell’Islam sulla base solamente del testo coranico e, più ancora, degli hadith; una forma che ancora una volta rimanda all’Iran ed all’India, oltre che alle culture preislamiche mediorientali, e che dovrebbe aiutarci, con la vicenda tragica che ha caratterizzato l’esistenza dei suoi seguaci negli ultimi anni, a capire che l’Islam, più ancora dello stesso Cristianesimo e dell’Ebraismo (che pure grondano polisincretismi ovunque….) non sia, né possa essere un insieme rigido di norme, concetti, pratiche omogeneo, ma sia invece il regno della differenza e perfino della contraddizione, reale e/o apparente, l’ambito forse privilegiato, proprio per la mancanza di un “papato” e quindi di una vera “ortodossia”, per il dispiegarsi di quel meccanismo del polisincretismo che, in altre modalità e con diversa intensità, resta comunque alla base di tutti gli universi religiosi e, più in generale, culturali.

 

I libri di Silvio Marconi

 

Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.

 

Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).

Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro