Il riccoIl ricco mercante, il povero mendicante e l’umile ciabattino

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Di seguito un secondo racconto di Lorenzo Bonaventura (clicca qui per leggere La casa della conoscenza), probabile prossimo autore con Viverealtrimenti. Lorenzo (Lokhnat), assieme alla moglie Camilla (Kamala) sono le figure cardine di un importante progetto sociale a Benares, Il Bal Ashram, nell’ambito di un’antica scuola di conoscenza indiana attualmente organizzata in una fondazione (Aghor Foundation). Del Bal Ashram pubblichiamno regolarmente le newsletters ed una presentazione accurata del progetto è stata offerta, da Lokhnat, per il testo Comuni, comunità, ecovillaggi.
Buona lettura!

Ogni giorno un umile ciabattino allestiva in strada la sua piccola bottega: un tavolino pieghevole per posare i pochi strumenti che possedeva, un tappetino di lana su cui sedersi, uno sgabello di legno per i clienti in attesa di piccoli lavori di pulitura e riparazione e una cassa di legno dove tenere pezzi di pelle, gomma, plastica, lucido, stracci, lacci ed altro materiale utile. Questa era la bottega di Sunil, l’umile ciabattino, aperta da mattina a sera. Con il duro lavoro e la maestria dell’artigiano che con poco riesce a fare molto, guadagnava abbastanza per sostenere se stesso, la moglie e i due figli. Sunil riparava e lucidava le scarpe con le mani e con la testa, ma con il cuore ripeteva continuamente il nome del suo Signore Shiva –Om Namha Shivaya. La sua piccola bottega si trovava vicino al sontuoso ingresso della Anil Enterprise, la società fondata da Anil, il ricco mercante.  Questi non si stancava mai di far notare che si era fatto dal nulla. “Io sono il signore del mio destino! Mi sono fatto da me!” -ripeteva in continuazione.  In pochi anni aveva messo insieme una fortuna con traffici più o meno leciti, lavoro indefesso, furbizia e un cinico senso degli affari; ma, soprattutto, con tanto desiderio di emanciparsi dalla miseria nella quale era cresciuto. Dall’altra parte della strada, dirimpetto alla Anil Enterprise e alla piccola bottega di Sunil il ciabattino, viveva Ashok il mendicante; la strada era la sua casa. Pochi cenci ed una ciotola per l’elemosina erano gli unici suoi averi. Ashok parlava pochissimo, viveva solo e nessuno conosceva esattamente la sua storia. Aveva un carattere duro e orgoglioso. Accettava solo le monete che i passanti gli lanciavano distrattamente; nessun altro tipo di aiuto ed assolutamente nessuna parola o sguardo di compatimento. Vivere come mendicante per lui era una scelta e non accettava la pietà di nessuno. Nonostante la sporcizia, la trascuratezza e i segni di una vita vissuta da vagabondo, i suoi occhi avevano una luce fiera e brillante.Anil ogni mattina parcheggiava la sua auto di lusso di fronte all’ufficio. Sceso dall’auto gettava una moneta nella ciotola di Ashok, attraversava la strada, si faceva lucidare le costose calzature di cuoio da Sunil mentre scorreva velocemente i titoli del giornale e si lasciava scappare qualche commento amaro sulle notizie con l’umile ciabattino. Poi concludeva la conversazione con una frase del tipo: “Oh Sunil, buon per te! Non sapere nulla, non conoscere il mondo a volte è meglio!”  Oppure: “Benedetta ignoranza Sunil! Quante preoccupazioni ti risparmia!” O ancora: “Meglio doversi preoccupare solo di guadagnarsi la giornata che essere oberati da mille responsabilità!”. Infine Anil, guardando la figurina di Shiva che Sunil teneva sempre sul banco da lavoro, solitamente aggiungeva: “Bravo Sunil, prega il tuo MahaDev che la prossima vita tribolerai di meno!”. I due si auguravano una buona giornata e ognuno tornava al proprio mondo. Perchè, Anil, Sunil e Ashok, anche se calpestavano il medesimo suolo, appartenevano a mondi diversi e lontanissimi. Eppure i tre erano legati da un medesimo destino.
Quel giorno, come sempre, Anil, donata una moneta ad Ashok, si recò alla bottega di Sunil per la consueta messa a punto delle calzature di cuoio. Il mondo di Anil, il ricco mercante, e quello di Sunil, l’umile ma saggio ciabattino, ancora una volta cercarono di mettersi in contatto.
“Sunil, sai qual è il tuo problema?” -disse Anil, affascinato dalla maestria dell’artigiano nel pulirgli le scarpe alla perfezione- “Non hai ambizione! Sei bravo, ci sai fare e si vede che, anche se ignorante, sei intelligente. Eppure, eccoti ancora qua, dopo tanti anni, a tirare a campare con la tua botteguccia da strada. In tutti questi anni avresti potuto chiedermi un prestito, te l’avrei concesso volentieri, sai!? Farti una bottega vera, con porta, finestre e un’insegna luminosa. Magari adesso, chi lo sa? Potresti essere ricco…averne 10 di botteghe. Guarda me! Ero povero come te, se non di più e ora…” Anil concluse la frase indicando con le mani la Anil Enterprise, come se Sunil la vedesse per la prima volta.
“Ma vede, Anilji, a me va bene così. Ho a sufficienza per mantenere la mia famiglia e mi piace il lavoro che faccio. Sono soddisfatto; santosh, soddisfazione, è la mia ricchezza. Ogni giorno ringrazio MahaDev per la grazia che mi concede. Hara, hara MahaDev!”
“Oh, certo! Il tuo MahaDev. Cosa ha fatto per te il tuo Dio, Sunil? Tante preghiere, tante puje e guardati. Cosa hai ricevuto in cambio?”
Sunil sorrise, come sempre faceva, mentre Anil tornava nel suo mondo di ricco mercante.
Negli ultimi tempi il traffico in città era aumentato enormemente e le strade erano rimaste sempre le stesse. Camion e furgoni dovevano condividere la strada con biciclette, mucche, innumerevoli pedoni indisciplinati, motociclette. Tutti erano sempre più di fretta, sempre più impazienti. Il furgone cercava di farsi strada a colpi di clacson. L’autista era in ritardo con le consegne, il cellulare squillava infaticabile, insistente. Era l’ufficio: “Si, lo so, sono in ritardo maledizione! Oggi c’è un traffico pazzesco. Recupererò il tempo perso…” Imprecò l’autista all’auricolare mentre premeva sull’acceleratore col piede e sul clacson con la mano. In quel momento un bambino in bicicletta sbucò all’improvviso da un vicolo. La bicicletta voltò bruscamente ma troppo tardi. L’autista sterzò di scatto e perse il controllo del camioncino che cominciò a sbandare da una parte all’altra della strada. Si trovava a passare proprio di fronte alla lussuosa palazzina della Anil Enterpraise. L’ultima cosa che Ashok vide prima di essere travolto dal furgone furono i passanti spaventati che fuggivano alla rinfusa gridando. Morì con un sorriso divertito sulle labbra. L’autista riuscì a terminare a malapena la frase quando il furgone nella sua folle corsa, dopo essersi preso la vita di Ashok, se ne prese altre due. Sunil morì all’istante, le scarpe di cuoio ancora in mano, perfettamente lucidate, ed il cuore che cantava il sacro nome del suo amato Shiva: Om Namah Shivaya. Anil non si accorse di nulla tanto era preso dalla lettura delle notizie del giorno.
Ad Anil sembrò come di essersi risvegliato da un sonno profondo. Ora i colori erano più vividi, l’aria tersa e gli sembrava di percepire profumi sconosciuti. Regnava un silenzio innaturale e lo spazio era come saturo di una luce mai vista prima. Si trovava su una strada di campagna, in una valle sconosciuta. La strada si sviluppava all’orizzonte e infine si divideva in due sentieri. Uno, passando attraverso un fitto bosco, conduceva all’ingresso di una grotta, l’altro si arrampicava sul fianco di una montagna imponente e maestosa. Improvvisamente un suono di cembali, tamburi e trombe saturò l’aria. Anil si voltò e vide avvicinarsi una curiosa processione di persone in festa che portavano in spalla un baldacchino sul quale qualcuno era seduto. Quando questi si avvicinarono Anil rimase sorpreso nel vedere Ashok il mendicante seduto su una specie di trono issato sul baldacchino. Le persone che seguivano la processione sembravano fare a gara per lanciare petali di fiori, fare prostrazioni  e offrire gioielli, cibi prelibati ed incensi ad Ashok. Quando si accorse di Anil, Ashok fece cenno alla comitiva di fermarsi, prese una monetina d’oro dal tesoro che si era accumulato nel baldacchino sul quale sedeva e la lanciò con indifferenza ad Anil. Lo guardò e disse: “Prendi, mercante, questa ti può tornare utile a pagare il pedaggio per il luogo a cui sei destinato”.
“Ma come -disse Anil- ora mi tocca ricevere l’elemosina da un mendicante! Con tutti gli onori e le ricchezze che ho accumulato in questi anni!”
“Vedi mercante -rispose Ashok- i tuoi onori e ricchezze qui non contano nulla. Tutti i tuoi averi li hai accumulati con la menzogna e l’inganno e ora altre persone, avide come lo sei stato tu, se ne approprieranno nello stesso modo. In questo luogo non è la valuta del denaro e del prestigio che conta. Quella serve solo a comprare beni materiali. Questo è il regno dello Spirito e contano solo gli sforzi che in vita hai compiuto per trascendere la dimensione materiale e coltivare lo Spirito. Guardami! Ho vissuto tutta la vita come un misero mendicante. Ho rinunciato consapevolmente alle gioie terrene mentre ero in vita e ora mi sono guadagnato il regno dello Spirito. Qui sono un re! Vedi, il mio cammino prosegue lungo quel sentiero di montagna. Tra quelle cime c’è un sontuoso palazzo che mi aspetta, dove vivrò felice in eterno”.
“E di me cosa ne sarà ora?” -chiese Anil.
“Tu prosegui pure per la tua strada, mercante” -disse Ashok, indicando con lo sguardo il sentiero. “Ad ognuno il suo destino! Addio Anil, ho ripagato il debito che avevo con te. Buon viaggio.” Con queste parole la comitiva si rimise in marcia verso la montagna maestosa che si ergeva all’orizzonte.
Anil si incamminò lungo il sentiero. Una miriade di pensieri si affollavano nella sua testa. Ripensò alle parole di Ashok. Ora un senso di rammarico e di rimpianto gli colmava il cuore. Tutte le energie impiegate in vita per accumulare prestigio e ricchezza ora sembravano assolutamente sprecate. “Quanto tempo, quante notti insonni, quanti inganni e corruzione, per cosa?” -si domandava Anil. “Per ricevere l’elemosina da un mendicante!” Questi erano i pensieri di Anil -pensieri neri di rabbia, rammarico e tristezza, quando giunse al punto in cui la strada si biforcava in due. Un sentiero conduceva verso la magnifica montagna dove risiedevano come principi nei loro regni coloro che in vita avevano coltivato lo Spirito, senza curarsi dei bisogni terreni. L’altro, passando attraverso un bosco di alberi scuri e minacciosi, conduceva all’ingresso di una grotta. Anil voleva tentare il sentiero della montagna ma due guardie armate bloccavano il passo con lance affilate e spade. Udì una voce terribile che gli intimò di fermarsi con queste parole: “Bada bene mercante! Questo non è il tuo sentiero. Le tue stesse azioni negative ti sbarrano il cammino. Vai e segui la strada che è affine alla tua natura: quella che conduce in basso, nei regni di pena e oscurità.” Anil fuggì spaventato. Mentre correva gli pareva di udire la risata di Ashok, il mendicante, che lo scherniva. Anil corse a più non posso fino a perdere il fiato tra gli alberi, i rovi e la fitta vegetazione del bosco. Stremato, si accasciò al suolo di fronte all’ingresso di quell’orrida grotta che conduceva in profondità, dove nessuna luce filtrava, nei regni di pena e oscurità. Orrendi miasmi fuoriuscivano dalla grotta e gli pareva di udire grida e lamenti giungere dal fondo, portati in superficie da fetidi vapori. Anil pianse e si maledì per aver sprecato la propria vita in modo futile e dannoso per sé e per gli altri. Cominciò a pensare a tutte le cose belle e buone che avrebbe potuto fare per guadagnarsi il regno dello Spirito e promise a se stesso, se mai avesse avuto un’altra occasione, che mai più avrebbe sprecato la propria esistenza inseguendo solo piaceri materiali, onori e ricchezze terrene.
“Anilji, signore, cosa ne dice di un’ultima lucidata?”
Anil stentava a credere ai propri occhi. Proprio lì, seduto ai piedi di un albero, al confine con la radura che conduce all’ingresso di quella immonda bocca di pietra dal quale usciva il fetido respiro e i lamenti del mondo infero sotterraneo, si trovava Sunil il ciabattino con il suo banchetto da lavoro e i suoi strumenti per pulire e riparare le scarpe. Sunil sorrideva e sembrava a proprio agio in quel luogo desolato, come se fosse seduto sul ciglio della strada che lo aveva ospitato per tanti anni.
Anil, per qualche misterioso motivo, si sentì rincuorato nel vedere il ciabattino. “Ma sì, Sunil! Lucidami per l’ultima volta le scarpe che poi proseguo il mio viaggio verso il luogo che il destino mi ha assegnato” –disse recuperando quel po’ di dignità che gli restava.
“Il destino, signore? Ma non è stato proprio lei ad insegnarmi che ognuno si costruisce il proprio destino con le sue stesse mani?”
“Hai ragione, Sunil. Vedi, il mendicante Ashok si è meritato l’ingresso nel Regno dello Spirito. Ha sacrificato tutto per il suo nobile scopo. Incurante di sofferenze, fame, privazioni. Un pezzo alla volta si è conquistato il suo Regno Ultraterreno. Io, invece, ho solo seguito gli appetiti del corpo con ogni mezzo. Ora sono qui a raccogliere il seminato. Che tristezza, amico mio.”
“Oh, certo amico mio, è triste ritrovarsi sulla soglia di questo regno sotterraneo, ma sarà ancora più triste per Ashok quando la forza dei meriti che ha accumulato per aver sopportato tante privazioni in vita, si esaurirà e il suo regno svanirà come un miraggio nel deserto. Perchè, vedi Anil, nulla dura in eterno e l’unica cosa saggia da fare è vivere la vita senza attaccamento o avversione. La stessa avidità che tu avevi, ha sostenuto Ashok, solo l’obiettivo era diverso. Tu hai perseguito i piaceri terreni e lui quelli dello Spirito”.
“Ma, da dove viene questa tua saggezza? Sei sempre stato un umile e semplice ciabattino! E tu Sunil dimmi, che destino ti sei costruito durante la tua misera esistenza? Qual è la tua destinazione ora che sei anche tu un fantasma come me?”
“Ancora mi giudichi con gli occhi del mercante, Sunil! Le vecchie abitudini sono difficili da abbandonare anche se ti hanno condotto in un stato miserevole. Guardati, Anil, chi è il più misero tra noi? Tu sei un fantasma ora. Un pallido riflesso di quel che credevi di essere. Io sono quello di sempre: Anil il ciabattino, libero, semplice e spontaneo come il mio Mahadev!”
MAHADEV Sunil! Ma dov’è il tuo Dio? Io vedo solo dolore e disperazione. Persino Ashok rimarrà deluso e fregato! Com’è buono e compassionevole il tuo Mahadev!”
“Proprio non vuoi capire, Anil. Mahadev non è un Dio seduto sul trono in qualche regno celeste che ci guarda cinicamente soffrire e lottare. Mahadev risiede dentro di te. Mahadev è la voce della tua coscienza che sommessamente chiama il tuo nome. Costantemente ci lancia il suo appello: Anil figlio mio, dove sei? Cosa stai facendo? Lungo quale sentiero ti sei smarrito? Non vedi che stai camminando verso l’antro del dolore? Fermati! Torna indietro! Hai mai sentito, Anil, la voce del tuo Cuore che ti chiamava? Le hai mai dato ascolto? Da lì viene la mia saggezza. Non l’ho ricevuta da nessun’altra parte. Non l’ho comprata e nemmeno ricevuta in dono. Questa saggezza è nostro diritto, ci appartiene, eppure la barattiamo per cose senza alcun valore.”
Anil si inginocchiò di fronte a Sunil il ciabattino e pianse tutte le lacrime degli uomini smarriti e confusi che vagano tra i regni dell’esistenza da tempi immemorabili in cerca di un po’ di pace e felicità, trovando solo dolore e sofferenza.
“Anil guarda. Guarda il mio vero volto…”
Sunil divenne immenso e il suo volto mutava costantemente. Anil vide il volto di suo padre e di sua madre, di tutte le persone che aveva conosciuto e incontrato e i volti di innumerevoli sconosciuti. Vide il volto dell’Uomo e poi solo luce. Ora un sole immenso lo fissava. Udì la voce di Sunil parlargli dentro la testa senza emettere alcun suono. “Anil, non c’è più bisogno per te di varcare quella soglia. In virtù del nostro vincolo karmico ti libero dalla sofferenza che ti trascini da molte esistenze. Ora vai, torna a indossare un corpo terreno e dai ascolto alla voce del Cuore. Vivi una vita vera al servizio di Mahadev e di tutti quelli che sono ancora sordi al Suo richiamo. Fai una promessa a te stesso; non seguire più il sentiero che conduce alla notte più nera e nemmeno quello che conduce ad altrettanti effimeri sogni di gloria ultraterrena. Segui il sentiero di mezzo che ti porterà dritto alla tua Autentica Natura e sarai libero, come me. Non ci saranno più limiti, nè barriere, perchè chi conosce se stesso,  chi è padrone di Sè, conosce l’universo intero. Ora vai e non dimenticare!”
Il Sole immenso allora si disciolse nel cielo infinito di quel Regno Ultraterreno e rimase solo una brezza leggera nell’aria e un profumo meraviglioso per il quale Anil nella sua prossima esistenza terrena proverà un’inspiegabile malinconica nostalgia. Il profumo di casa, di ciò che realmente siamo: l’odore meraviglioso e indescrivibile della nostra Autentica Natura.