Introduzione di Comuni, comunità, ecovillaggi

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Introduzione di Comuni, comunità, ecovillaggi

Mi è stato chiesto di condividerla ed io lo faccio volentieri!

Introduzione
(Goa — India — 20/3/2009)

«Humans need to be connected, and without adeguate communities we suffer from personal and social ills that include depression, poor health and crime. At its most extreme, an absence of human ties leads to violence and extreme social disorders — one has only to think of the stereotypical description of a serial killer as a loner — . The world’s most eminent living world historian, William H. McNeill, author of the National Book Award winner The Rise of the West: A History of the Human Community, concludes in the recent book The Human web: A Bird’s Eye View of World History (Norton, 2003) that our future depends on finding new kinds of communities to replace those of the past».

«Gli esseri umani hanno bisogno di essere interconnessi ed in assenza di comunità adeguate soffriamo di patologie individuali e sociali, incluse depressione, una generale fragilità e criminalità. Portata all’estremo, l’assenza di legami umani conduce alla violenza ed a gravi disordini sociali — basti  pensare allo stereotipo del serial killer come un solitario — . Il più celebre storico vivente, William H. McNeill, autore del libro vincitore del premio Award The Rise of the West: A History of the Human Community, conclude nel suo recente The Human web: A Bird’s Eye View of World History (Norton, 2003) che il nostro futuro dipende dal ritrovare nuovi generi di comunità, in grado di rimpiazzare quelle del passato». Christensen K./ Levinson D., Encyclopedia of community; from the village to the virtual world, Sage Pubblications, Thousan Oaks (USA), 2003, Vol I, p. XXXII, traduzione mia.

Dopo le avventure editoriali di Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia e Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo, siamo finalmente giunti a questo Comuni, comunità ed ecovillaggi.
Prima di abbandonarmi ad alcune sweet memories credo meriti chiarire subito, soprattutto per i lettori “nuovi” e forse digiuni dell’argomento, ciò di cui stiamo parlando.
Le “comunità intenzionali” (nell’ambito della cui definizione ricadono anche le “comuni”) possono essere identificate con gruppi di persone che abbiano maturato l’intenzione di condividere, a diversi livelli, spazi (edifici, terreni, ecc…), beni di vario genere (automobili, macchinari agricoli, elettrodomestici, computers, ecc…) e denaro. In altre parole, prendendo a prestito la definizione dell’americana Fellowship for Intentional Community, gruppi che abbiano scelto di lavorare insieme — spesso in un contesto rurale ― perseguendo gli ideali e le visioni che ne costituiscono i fattori di coesione. Le comunità intenzionali possono essere più o meno piccole (a partire da un minimo di 5 membri adulti) o più o meno grandi (la dimensione media di una comunità intenzionale è stata identificata, come vedremo, tra le 50 e le 300 persone) e muoversi lungo coordinate sociali, economiche, spirituali (o “secolari”), politiche ed ecologiche affatto diverse. Parliamo dunque di un universo eterogeneo che ha come minimo comun denominatore quella che Bill Metcalf , con un’espressione che trovo straordinariamente efficace, chiama “we-consciousness”. Venendo agli ecovillaggi, possiamo iniziare a qualificarli come “un nuovo movimento di comunità sperimentali che abbiano come prioritari valori di tipo ecologico”. Il termine è stato coniato nel 1975, sulle pagine del piccolo giornale alternativo americano Mother Earth News ed identificava un’area — vicino Hendersonville, in North Carolina — in cui diverse persone avevano creato una fattoria sperimentale. Il posto si avvaleva di sistemi di energie rinnovabili, abitazioni costruite seguendo i criteri della bio-edilizia ed orti biologici.
Nello stesso periodo venne coniato, nella Germania dell’Ovest, il termine ökodorf (ecovillaggio) nell’ambito di un movimento locale, antinuclearista, nella cittadina di Gorleben, nel nord del paese. Gli attivisti tentarono di costruire un piccolo villaggio su criteri rigorosamente ecologici. Il loro esperimento subì una violenta repressione poliziesca ma il seme dell’ökodorf avrebbe dato buoni frutti, ad esempio nel magazine, fondato nel 1985, Ökodorf Informationen che sarebbe diventato l’attuale Eurotopia, una guida aggiornata ogni 3 o 4 anni delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi europei. Da allora esperimenti comunitari ed ecologici si sono, come vedremo, moltiplicati e, in buona parte, aggregati in reti nazionali ed internazionali, la più celebre delle quali è oggi il GEN (Global Ecovillage Network) che riunisce circa 13000 comunità intenzionali ecosostenibili a livello planetario.

Veniamo ora, come accennato in apertura, alle sweet memories.
Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia è stato il mio primo lavoro sull’argomento ed ha avuto un successo insperato. In Italia era stato scritto davvero poco sul fenomeno antico e tuttavia “emergente” delle comunità intenzionali ed un testo che delineasse una panoramica storica e facesse da guida per lanciarsi alla scoperta di prospettive di vita diverse dall’ordinario — con annesse ricadute esistenziali, spirituali, politiche ed ecologiche — era senz’altro necessario. Lo proposi al compianto Angelo Quattrocchi (mancato il 7 giugno 2009), editore della casa editrice Malatempora, dopo aver pubblicato Vegetariani come, dove, perché, nel 2002. Angelo, da vecchio fricchettone che non volle perdersi nulla della Summer of love di San Francisco — incluse le esperienze di case aperte e comuni più o meno hippy di cui lo storico quartiere Haigh Ashbury era ricchissimo — accettò senza farsi pregare e per me iniziò uno splendido viaggio nelle comuni e comunità e negli ecovillaggi d’Italia.
I mezzi erano naturalmente limitati ma siamo riusciti a produrre, nell’estate del 2003, un libro meritevole della fatica. Dopo un paio di anni quel testo avrebbe dovuto essere aggiornato. Era iniziata, nel frattempo, la mia collaborazione con il mensile ecologico AAM Terranuova. Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo ebbe una gestazione lunga ed alla fine si optò per una co-edizione tra la Malatempora e la casa editrice del mensile citato. Malgrado difficoltà, malintesi, problemi anche questo secondo libro, pubblicato nel 2007, ha avuto un buon riscontro ed ha rappresentato senz’altro un avanzamento rispetto al primo.
Di questo secondo libro credo meriti riportare un brano dell’introduzione che può dare, soprattutto ai nuovi lettori, qualche altro elemento utile:

«Il fenomeno comunitario, in questi ultimi anni, sta conoscendo una prudente fioritura, agevolato dal fatto che le grandi città sono progressivamente meno vivibili, le condizioni economiche della maggior parte delle persone meno floride (vivere insieme “costa meno”), le alternative offerte da una militanza politica meno allettanti.
Per alcuni vivere in una dimensione comunitaria ed avere garantiti i prodotti dell’orto e degli animali e la legna dai boschi, in un’ottica di semplice sussistenza che abbini una ritrovata libertà da “bisogni indotti” all’astensione dall’inquinare, è già un buon investimento (è il caso dei cosiddetti “ecologisti profondi”).
Altri chiedono di più: una qualità della vita difficile da ritrovare nel mondo ordinario, nella cauta accettazione di quanto di buono i soldi e la tecnologia possano offrire.
Altri ancora vivono in un ecovillaggio o in una comunità intenzionale perché coinvolti in uno stesso percorso iniziatico e/o spirituale o anche semplicemente ideologico o culturale (può essere il caso, quest’ultimo, delle comuni di ispirazione anarchica o “comunista”).
A fronte di questa classificazione generale, esistono molte realtà “miste” in cui, ad esempio, ritroviamo istanze di ecologia profonda “contaminate” con altre legate ad un preciso cammino spirituale o di ricerca politico-esistenziale e gli esempi si potrebbero moltiplicare» .

Venendo a questo terzo lavoro, vuole essere la fioritura dei due cui abbiamo appena accennato, riprendendo e valorizzando la trattazione storica del primo e la maggiore precisione nella presentazione delle attuali realtà comunitarie italiane ed internazionali del secondo. Naturalmente ospiterà diverse esperienze che, per un motivo o per l’altro, non sono state considerate nei lavori precedenti, presentando un monitoraggio più profondo e completo.
Quali novità sono intervenute rispetto alle mie precedenti avventure editoriali? Diverse: in primo luogo ho deciso di pubblicare in prima persona, assumendomi la piena responsabilità di quanto scrivo ed avendo, al contempo, la libertà di esprimermi fino in fondo. In secondo luogo, è cambiata la percezione del fenomeno trattato. Sono quattro anni, difatti, che vivo la maggior parte del mio tempo fuori dell’Italia, fondamentalmente in India con alcuni significativi momenti, necessari per “tirare un po’ il fiato”, in Thailandia o in altri paesi asiatici (Nepal, Sri Lanka). L’angolo prospettico si è dunque, necessariamente, allargato. Continuo a visitare comunità intenzionali ed ecovillaggi, anche nei paesi citati ma, al contempo, posso dire di star vivendo sulla mia pelle diversi aspetti della cosiddetta “globalizzazione”. Ed è da questa prospettiva che ho cercato di scrivere quest’ultimo libro. Alcuni criticano il fatto che scriva di comunità intenzionali ed ecovillaggi senza essere direttamente coinvolto in un’esperienza comunitaria. Trovo sia una critica capziosa perché se è vero che mi possano essere preclusi livelli più profondi di questo genere di esperienze (che tuttavia posso farmi raccontare da “comunitari a tempo pieno”; non si contano le interviste che ho raccolto sul campo) è altrettanto vero che possa essere più facilmente immune da alcune, inevitabili “derive apologetiche”. In altre parole, spero: più obiettivo.
Il mio tentativo, del resto, è, nella misura del possibile, “cogliere il mondo a tutto tondo”, mantenendo buoni margini di tempo da spendere in comunità intenzionali ed ecovillaggi (oltre a documentarmi con costanza al riguardo), continuando a scriverne e, allo stesso tempo, avendo gli strumenti per vederne, naturalmente dal mio angolo prospettico, i pregi ed i limiti.
Sono difatti convinto che, per quanto possa essere interessante la “dimensione alternativa” delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi, alcuni parametri del cosiddetto “mondo ordinario” possano mantenere una loro utilità. In rapporto tanto alla propria crescita integrale quanto, più specificamente, all’arricchimento ed all’espansione della visione prospettica dello stesso vivere comunitario Per fare un primo esempio, frugando nella mia storia personale: essermi concesso, qualche volta, una colazione o un pranzo al Taj Hotel di Mumbai — presentato da Tabucchi in Notturno Indiano come l’hotel più maestoso dell’Asia ― o una bella aragosta di fronte ad onde turbolente nel sud dello Sri Lanka, mi ha senz’altro aiutato a valutare quanto certe “derive pauperiste”, proprie di alcune esperienze comunitarie (non ne mancheranno alcuni esempi nel testo), difficilmente possano essere vincenti. Ed a valorizzare, nello stesso tempo, gli aspetti migliori della sobrietà.
Per ora credo sia sufficiente dire che questo nuovo testo sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi, oltre a voler essere, come già accennato, un momento di fioritura dei due testi che l’hanno preceduto e di monitoraggio più profondo e completo, vuole anche essere un momento possibilmente maturo di riflessione.
Per certi versi vuole anche rappresentare una “provocazione”, per contribuire ad alimentare un dibattito che credo sia bene non affievolisca mai.
Come già Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo, la presentazione del fenomeno comunitario, da un punto di vista storico come da quello delle realtà presenti oggi in Italia e nel mondo, sarà integrata con pagine (come quelle che seguono nel prossimo paragrafo) di un diario di viaggio/vita ove possa concedermi alcune riflessioni in una prospettiva non immediatamente aderente all’oggetto in analisi. Più ampia e, auspicabilmente, più libera.
Buona lettura!

M.O.