L’esperienza comunitaria di Simona

Posted in Comunità intenzionali ed ecovillaggi

L’Australia e la Nuova Zelanda sono piuttosto ricche di esperienze comunitarie, in particolare di ecovillaggi. Sono paesi, del resto, poco densamente popolati e con buoni livelli di benessere individuale e sociale. Sono dunque i posti ideali per lo sviluppo dei valori post-materialisti, indotti da contesti in cui siano stati abbondantemente soddisfatti i principali bisogni dell’essere umano e dove dunque ci si possa permettere di “pretendere” di più: una buona qualità della vita, la parità dei sessi, maggiori opportunità decisionali, il rispetto della natura circostante.
Crystal Waters è sicuramente la più famosa esperienza di ecovillaggio nel paese. Prima di presentare questa importante realtà, tuttavia, volendo anche offrire una breve panoramica storica del fenomeno comunitario nel continente, riporto una bella testimonianza di Simona Camporesi. Ci siamo conosciuti a casa di Angelo Quattrocchi sede, allo stesso tempo, della Malatempora Editrice. Aveva apprezzato il mio testo Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia e ci voleva proporre una collaborazione per una successiva edizione. Simona  ha soggiornato un discreto periodo in Australia, visitando alcune esperienze comunitarie e facendo un minimo di ricerca al riguardo. Ci ha lasciato l’interessante contributo che abbiamo pubblicato anche qui e poi, per diversi anni, ci siamo persi di vista e ricordandomi solo il suo nome la presentai nel successivo testo, Comuni, comunità, ecovillaggi, come “l’evanescente Simona”. Nello stesso testo la invitavo, naturalmente, a mettersi in contatto e, forse, “camminare un poco, assieme, le nostre parole”. Quasi sentendo questo richiamo, in una fosca mattinata londinese ricevo una sua mail. In realtà non è diretta a me ma al fondatore della Viverealtrimenti che, poi, sono sempre io ma lei non lo sapeva. Proponeva di collaborare. La riconosco dalla foto sul curriculum, la contatto e, da allora, abbiamo iniziato, effettivamente, a “camminare un poco insieme le nostre parole”. Lei mi avrebbe raggiunto presto a Chiang Mai, avremmo fatto qualche ricognizione insieme e il tutto avrebbe contribuito alla realizzazione del suo testo Ricomincio da Chiang Mai, con la nostra editrice. Oggi, Simona è grossomodo organica alla Viverealtrimenti ed avrete sicuramente ancora modo di sentir parlare di lei. Intanto, proprio per finire di presentarla, finalmente, come merita, segnalo qui anche il suo sito personale.

Nessun contributo, invece, sul fronte della Nuova Zelanda. Tuttavia, per non lasciare i lettori proprio “a bocca asciutta”, posso segnalare il seguente network comunitario neozelandese.        
Simona:

I primi esperimenti comunitari in Australia risalgono al 1853 (Herrnhut Comune, vicino a Hamilton, nello Stato del Victoria), ma il primo boom lo raggiungono solo qualche decennio più tardi. Durante gli anni novanta del XIX secolo un’entusiastica politica di incoraggiamento all’immigrazione porta i governi a supportare i progetti comunitari con ingenti finanziamenti. Molti di questi esperimenti, la maggior parte ad opera di immigrati europei, falliranno nel giro di qualche anno.
Un secolo dopo si assiste al secondo boom, questa volta sull’onda dell’Aquarius Festival di Nimbin. Nel 1973 migliaia di persone si danno appuntamento nel cuore verde del New South Wales, trasformando per dieci giorni un sonnacchioso paese dedito principalmente all’allevamento di bestiame in una culla della creatività, accogliendo variegate espressioni di arte, musica e life-style. Rapiti da una natura esuberante e generosa e solleticati dal movimento hippy che in quegli anni imperversa in America e in Europa, molti di loro non se ne andranno più. Fondano una cooperativa, comprano dal governo un lotto di terra vergine e in parte la rivendono a nuovi soci: nasce Tuntable Falls. La quota individuale per un pezzo di paradiso è di appena 200 dollari.
Satya arriva qui nel 1974 con un’amica. E’ di Melbourne e ha l’insofferenza tipica dei vent’anni, una voglia immensa di conoscere il mondo fuori dalla città e di misurarsi con una realtà di cui tutti i giornali parlano. Si ferma qualche giorno dormendo in tenda e dividendo i pasti con quella strana famiglia improvvisata di giovani anticonformisti che girano nudi e fumano marijuana, leggono Kerouac, parlano di pace e di libero amore. Tra loro c’è anche Mike, i due si innamorano, progettano una vita insieme, sognano un nido d’amore sospeso sulla foresta. In quegli anni anche le follie hanno i presupposti per divenire reali, così i due si fanno prestare 200 dollari e acquistano un pezzo di terra.
Aiutati da alcuni amici trascinano dal fiume i pezzi di legno necessari a  costruire su una roccia un piccolo rifugio, grande quanto basta per dormire riparati dalle frequentissime piogge che sferzano la foresta sub-tropicale. Oltre alla foresta, questo è l’unico luogo dove possano rifugiarsi i due amanti conservando un minimo d’intimità, perché gran parte della giornata la spendono assieme agli altri. Con gli altri membri della comune condividono la maggior parte dei pasti in una spartana cucina, condividono il lavoro nell’orto –  impartiscono una primitiva forma di sussistenza – condividono le serate attorno al fuoco, i progetti di un sogno comunitario dove fare crescere sani e liberi i propri figli.
Poi i figli arrivano davvero, e la meraviglia di quegli esserini che si svegliano di fronte alla foresta piuttosto che a un palazzo di cemento compensa di gran lunga il disagio di fare i genitori lontani da un ospedale e da ogni comfort. Ma se i figli dispensano gioia prosciugano anche le forze e il tempo, così l’estetica di un roussoiano ritorno alla natura comincia a palorire e l’istituzione comunitaria si indebolisce a favore di un’altra, meno romantica e più tradizionale, su base unifamiliare.
L’aspetto alla stazione degli autobus di Nimbin, davanti al Rainbow Cafè, una delle “proprietà” di Tuntable Falls. Il caldo del primo pomeriggio è soffocante per via dell’altissima umidità, non c’è un pezzetto di ombra nemmeno a pagarlo e lei non si vede da nessuna parte. Non so che faccia abbia, ho trovato il suo nominativo nel libro del WWoofing, l’associazione mondiale di lavoro volontario che in Australia ha uno dei suoi centri più prolifici. Ci siamo sentite al telefono, ha una voce rilassata e rassicurante, me la immagino comparire con i capelli viola, l’orecchino al naso e un gonnellone di fiori arancione. L’odore pungente della marijuana intinge l’aria e gli uccelli si prodigano in canti sopra la mia testa.
Poi la vedo. Non ha il gonnellone a fiori ma la riconosco subito. E’ uguale alla sua voce: rilassata e rassicurante. Scivola verso di me incurante del ritardo di più di mezzora sull’orario concordato, e per questo già l’adoro, è il modo di fare di chi non ha paura del tempo. Con un grande sorriso si scusa per il ritardo, ma “è mercoledì” mi spiega “il giorno della Bellydancer”, la danza del ventre! Ci sediamo al cafè e mentre parliamo mi offre un intruglio scolorito completamente insapore e, perciò, sicuramente sano. Due minuti e ci raggiunge uno dei tanti reduci del periodo d’oro di Nimbin, rolla un joint e comincia a raccontare di quanto i tempi siano cambiati. I turisti, dice, arrivano con l’autobus di fretta, scattano qualche foto al museo (l’unico musico hippy del mondo), setacciano i coffee shop in cerca di relax e poi se ne vanno con i souvenir sotto braccio senza avere capito nulla della cultura hippy. Io mi sciolgo nell’entusiasmo, questo è un posto storico e quest’uomo con il suo occhio perso e i gesti rallentati ne è un tipico rappresentante. Ho voglia di fargli mille domande, voglio sapere se ha dei figli, un mestiere, un cane, voglio domandargli com’è vivere così totalmente immersi nella natura, e come ci si sente a sapere che milioni di persone ignorano persino che esista lo stile di vita che per te è l’unico possibile. Ma l’erba lo rende un po’ troppo evanescente per la conversazione, così ci alziamo e ci dirigiamo verso la macchina. E’ arrivato il momento di conoscere Tuntable Falls.
Sembra di essere in Irlanda tanto è verde. Con la scassatissima 4×4 di Satya ci inerpichiamo su per pascoli e accenni di foresta subtropicale. Siamo nel cuore della Rainbow region, l’area del NSW dislocata tra Lismore e Murwillumbah che accoglie la maggioranza delle comuni australiane.
Lei guida come una pazza, come è tipico degli abitanti di tutti i paesini australiani, sorride in continuazione e risponde come può alle domande che le faccio – che sono troppe lo so, e formulate troppo in fretta, quasi non le do il tempo di parlare, ma questo è l’effetto dell’eccitazione che provo, vorrei potere assorbire tutto, non tralasciare nemmeno un dettaglio.
Welcome to Tuntable Falls Community Centre. Il cartello, redatto su tre assi di legno, avverte che nella comune ci sono anche una scuola elementare e una scuola media, una hall comunitaria e un negozio.
“Che ne dici se ci fermiamo al fiume per rinfrescarci?” mi domanda. Fermiamo la macchina in un sentierino non asfaltato, che è una delle due arterie principali della comunità, e scendiamo attraverso il bosco. Chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni l’aria verde e profumata, tutti gli uccelli del mondo devono essersi dati appuntamento qui perché i suoni sono un unico, fragoroso concerto. Sorrido, ho la sensazione che stare qui mi piacerà. E la certezza ce l’ho quando, riaperti gli occhi, vedo Satya che sfila il vestito e la biancheria come un gesto normale, ripetuto mille volte e con chiunque, e li lascia scivolare su un sasso. Così bianca è ancora più evanescente in questo quadro dai colori vivi e lucidi, io forse lo sarò persino di più, così decido di seguirla e di raccogliere la sfida.
Trent’anni dopo, il rifugio dei due amanti è diventata la camera da letto di Satya. L’amore libero ha i suoi limiti e lui da diversi anni ha abbandonato la moglie e la casa sulla roccia per trasferirsi a Nimbin, dove gestisce un negozio di vestiti e artigianato importati dall’India e dal Nepal. Lei ha resistito invece, ed è assolutamente convinta che da qui non se ne andrà mai. “E’ la mia casa, perché dovrei andarmene?”
Ha appena rollato un joint e adesso lo fuma lenta sprofondata nella sedia a dondolo. Fa ancora caldo, ma si è levato un leggero venticello che non riesce a cacciare le zanzare ma è sufficiente a fare tintinnare ipnoticamente gli scacciapensieri disseminati ovunque. Io sono seduta sulla panca che delimita l’intero balcone, i miei piedi nudi ciondolano sulla foresta. “Già. Perché in effetti dovresti andartene?”
E’ la casa più incredibile che abbia mai visto. Gioiosa, colorata, originale e completamente ecologica, servizi igienici inclusi. Il “bagno” l’ho scoperto subito, seguendo un sentiero brulicante di sanguisughe e lizard. E’ un triangolo di lamiera, chiuso su un lato; non c’è porta; dentro ci sono un buco per terra camuffato da water, un bidone di plastica per la carta igienica e uno per …, la polverina bianca che nel bagno biologico sostituisce lo sciacquone. Proseguendo per lo stesso sentiero, a lato di un boschetto di bambù, si arriva ad un’altra costruzione adibita a stanza da bagno. Una vasca e una doccia rudimentali trovano spazio in un ambiente senza pavimento e i muri incastonati di bottiglie di vetro; l’acqua calda è quasi sempre garantita da un sistema di pannelli solari.
Hanno costruito tutto Satya, il marito e i vicini, quando ancora l’aiuto dei vicini era un fatto così naturale da essere scontato. Ora a stento si rivolgono la parola.
Al nucleo originario, cui si accede attraverso una scaletta di legno sorretta da canne di bambù, sono seguite nuove costruzioni, ogni ambiente una piccola casa: una torretta per le stanze dei due figli, con accessi indipendenti, e una costruzione più grande, vero cuore della casa, dove in un’unica stanza si trovano la cucina, il salotto, un letto per gli ospiti e un grande camino, unica fonte di riscaldamento di tutta la struttura. Fa caldo adesso, un caldo terribile e appiccicoso, ma durante la stagione delle piogge le temperature possono precipitare anche a 4 o 5 gradi durante la notte.
“Buongiorno.” Secondo me Satya non cammina, si libra in volo. Per dieci giorni non la sentirò mai arrivare, lei si farà notare solo quando avrà deciso di farlo. Che sia la meditazione a renderla così leggera? Medita tutte le mattine appena sveglia, certe volte mezzora, certe altre un’ora, lo fa da almeno vent’anni. L’allontanamento dal marito ha coinciso con l’avvicinamento al proprio Sé.
“Buongiorno. Vuoi una tazza di the?” domando.
“Sì grazie, quello verde.” Ha l’aria serena e svagata di sempre, si muove lentamente, il suo è un corpo che non spreca energia. “Come hai dormito?”
“Una meraviglia. Però ci deve essere un topo, l’ho sentito sgranocchiare le mie barrette di cereali tutta la notte.”
“Beh, se ce n’è uno solo allora è il nostro giorno fortunato!” sorride. “Oggi metto le trappole.”
“Io sono pronta. Cosa devo fare?” (un wwoofer normalmente lavora 4 o 5 ore al giorno in cambio di vitto e alloggio.)
“Cioè?”
Il senso di questa domanda mi sfugge. Che anche lo sguardo vacuo di primo mattino sia un effetto della meditazione?
“Sì, il lavoro di oggi… che devo fare?”
“Ah!” ride “sederti con me in veranda per cominciare. Per il lavoro c’è tempo.”
Detto questo capisce di avere parlato anche troppo e con la tazza in mano di the e latte di soya si va a sedere sulla sedia a dondolo. Mentre penso a come proporle di trasferirmi qui per sempre la seguo in veranda e mi siedo adeguandomi ai suo ritmi silenziosi. Siamo adagiate sulla roccia, protese verso la foresta. Non vedi nemmeno una casa da qui, non una strada, non un briciolo di cemento: solo alberi, cielo e, in lontananza, le montagne sacre degli aborigeni.
Per il lavoro c’è tempo. La frase rimbalza come una pallina da ping pong nella mia mente, mi chiedo quanto sia applicabile a una società come quella che conosco da sempre, dove l’ufficio e i suoi orari dettano regole rigide e frenetiche, e dove una contemplazione mattutina del creato non è più reale di una puntata di Beautiful. Eppure Satya non è un animale asociale ritirato dal mondo, non è animale folle e insensato che costringe i suoi figli a una vita di stenti. Certo, di fronte a casa sua c’è una scassatissima 4×4 e le scarpe che indossa con ogni probabilità sono le stesse di dieci anni fa, ma sua figlia studia all’università, e dentro alle pareti domestiche riluccicano un televisore, il telefono e persino un paio di cellulari. Il trucco? Ridurre la vita a costi zero, aiutati da un ambiente generoso. Le frequenti piogge della zona rendono il fiume….una fonte inesauribile di acqua gratuita, e fanno della terra un brulicare di vita perfetto per la coltivazione. Circa la metà di quello che arriva sulla tavola di Satya viene direttamente dal suo orto. Oltre all’acqua sono gratis anche l’energia e il riscaldamento, garantiti praticamente tutto l’anno dai pannelli solari. Quando il sole non è sufficiente si assottigliano le necessità, usando candele al posto dei lampadari, passando la serata davanti a una partita a Scarabeo anziché a un film in TV; facendo se occorre la doccia con l’acqua fredda. Se ti sai adattare, di fronte non hai più una carenza, bensì una virtù. Non esistono tasse qui, i soci pagano solo un’imposta sulla terra annuale di circa 350 dollari. Se paghi poco le bollette, se non hai un affitto cui far fronte, se la spesa la fai tra ciò che hai seminato, se sei persona ingegnosa, adattabile, con pochi bisogni irrinunciabili, allora puoi permetterti di lavorare poche ore alla settimana e vivere dignitosamente. Puoi fare massaggi, vendere canne di bambù e vestiti usati ai mercatini, e il resto del tempo gingillarti in questa meraviglia senza fine che è la vita, vivendola, e non lasciandola scorrere come fosse affare non tuo.

 

Per approfondire il fenomeno comunitario

 

Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.

 

Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.

 

Leggine l’introduzione

 

Prezzo di copertina: 16.5 euro

 

Disponibile anche in formato Kindle