Nomadelfia

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Nomadelfia

Giocando con la fantasia scrivo in un articolo che, convinto che Gesù sia da tempo tornato ― in incognito — tra noi, lo vado a cercare a Nomadelfia (letteralmente: legge della fraternità), «dove i bambini possono esprimere liberamente la propria tenera irrequietezza, i beni sono tutti in comune e vige la legge del perdono».
Nomadelfia è la più rilevante esperienza in Italia “a vocazione gerosolimitana.
Il fondatore è il sacerdote Don Zeno Saltini ― classe 1900 — che, poco dopo aver preso i voti, dà prova di una spiccata sensibilità sociale adottando un ragazzo appena uscito di galera e poi creando vere e proprie famiglie di bambini abbandonati organizzate attorno ai mamo, giovani più maturi.
L’esperienza comunitaria vera e propria inizia nel 1947, con l’occupazione dell’ex campo di concentramento nel paese natio di Don Zeno, Fossoli di Carpi, in provincia di Modena.
Nel febbraio ’48 viene sottoscritta una costituzione sancendo la nascita, formale, di Nomadelfia.
Dopo tre anni i nomadelfi arrivano ad essere più di mille (molti i minori adottati da famiglie che hanno aderito al progetto o dalle “mamme per vocazione”, che rinunciano al matrimonio e si dedicano integralmente a ragazzi orfani o abbandonati). A questo momento di successo fa presto seguito una fase drammatica in cui don Zeno ― che nel frattempo si è indebitato per comprare terreni su cui far espandere la comunità — viene processato (poi assolto) per truffa e millantato credito.
Nomadelfia viene dunque smantellata ed i minori tolti alle famiglie adottive.
Nel 1954, tuttavia, don Zeno (che ottiene da Pio XII di laicizzarsi) torna a dirigere la comunità, questa volta nella tenuta Rossellana, in Maremma.
Le condizioni sono particolarmente difficili, segnate da miseria e diffidenza da parte della pubblica opinione.
In questo periodo vengono creati i gruppi familiari, ancora presenti nell’attuale struttura della comunità; vengono cioè accorpati tre, quattro o cinque nuclei sotto uno stesso tetto.
Il modello non è particolarmente diverso da quello damanhuriano o di MCF se non per il fatto che oggi le singole famiglie nomadelfe hanno la propria zona-notte in casette, prefabbricate, separate.
Nel 1961 viene approvata una nuova costituzione e Giovanni XXIII, papa notoriamente liberale, riconosce Nomadelfia (costituitasi nel frattempo in associazione civile) come popolo di volontari cattolici e prima ed unica parrocchia comunitaria al mondo di cui don Zeno, ripreso il sacerdozio, diviene parroco.
Nel maggio ’89 Papa Wojtyla visita Nomadelfia ed ha esplicite parole di elogio e nel 2000 la Santa Sede ne approva la nuova costituzione considerando la comunità un’associazione privata tra fedeli (mentre per lo stato italiano Nomadelfia è un’associazione civile, una cooperativa di lavoro ed una fondazione).
Attualmente sono circa 250 i nomadelfi effettivi (50 famiglie, disponibili ad accogliere figli in affido), in un territorio comunitario di circa 4 chilometri quadrati.
I gruppi familiari (formati, ciascuno, da 4 famiglie) non sono permanenti e vengono ricomposti, con cadenza triennale, per consentire la massima fraternizzazione possibile tra tutti i membri.
In ciascuno di essi i ragazzi mangiano e studiano insieme, hanno i panni lavati e stirati dalla mamma dell’uno o dell’altro, senza differenza.
Anche a Nomadelfia (come nella già considerata esperienza di MCF) il ruolo della donna tende ad essere soprattutto domestico (quando sono stato in visita un bambino, stupito della mia disponibilità a lavare i piatti che avevo appena utilizzato, mi ha detto: ma guarda che questo è un lavoro da donne!) mentre le famiglie si impegnano ad essere “solidali nell’educazione”.
La vita sociale della comunità è governata da dieci “organi costituzionali” ma su questi aspetti tecnici preferisco non soffermarmi e rimandare chiunque fosse interessato al sito della comunità (www.nomadelfia.it).
L’unica cosa che merita di essere segnalata è che le “infrazioni alle leggi” nell’ambito del territorio comunitario vengono esaminate dal Consiglio dei Giudici.
Questi, nella maggior parte dei casi, qualora chi avesse sbagliato lo riconosca sinceramente, applicano il provvedimento del perdono.
A Nomadelfia la dimensione produttiva prevede lavori specializzati nelle aziende della comunità (ad esempio l’azienda agricola biologica, con annessi cantina, frantoio e caseificio) e lavori di massa, considerati pesanti o ripetitivi e dunque svolti dalla generalità dei membri validi (ad esempio lavori di vendemmia e di spietramento dei campi).
Nella comunità non circola denaro, dunque non esistono stipendi ma ciascuno ha diritto di utilizzare i beni prodotti, mentre per le spese esterne (che si cerca comunque di ridurre all’essenziale) ci si può rivolgere all’economo ed ottenere la liquidità necessaria dal fondo comune, alimentato soprattutto da donazioni e da pensioni e rendite di singoli nomadelfi.
I ragazzi che crescono a Nomadelfia ― e vengono educati in una scuola interna con obbligo fino a 18 anni — non sono membri effettivi della comunità fin tanto che non lo scelgano deliberatamente, a 21 anni.
A quel punto, impegnandosi a professare la religione cattolica e a rinunciare a possedere beni propri di qualunque natura, accettando di avere solo il necessario ad una vita dignitosa, devono sottoporsi ad un periodo, almeno triennale, di prova.
Vivere a Nomadelfia è piuttosto duro per gli adolescenti che, particolarmente penalizzati da un punto di vista economico (quando sono stato in visita, nel 2004, avevano diritto, il sabato, ad una paghetta di 5 euro), non possono avere accesso, al pari dei loro coetanei, a molti svaghi e diversivi.
La comunità tenta di ovviare a questo disagio con iniziative interne, ad esempio periodiche proiezioni di films.

 

Nomadelfia, C.P.176 58041 Grosseto.
Tel. 0564338243
E-mail: visitatori@nomadelfia.it
Sito internet: www.nomadelfia.it
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Per approfondire il fenomeno comunitario

 

Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.

 

Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.

 

Leggine l’introduzione

 

Prezzo di copertina: 16.5 euro

 

Disponibile anche in formato Kindle