Prefazione a Yoga dall’autentica tradizione indiana.

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Di seguito, la prefazione all’ultimo testo della Viverealtrimenti, traduzione italiana di Yoga based on authentic Indian traditions.
Buona lettura!

Quello che vi state accingendo a leggere è un libro con una storia relativamente lunga e suggestiva. Ha avuto inizio nel 2005, con il mio primo viaggio a Benares e la conoscenza con la yogini Smriti Singh cui ha fatto seguito, per qualche anno, una mia regolare pratica dello yoga.
Nel 2009 Smriti ha fatto il suo primo viaggio in Europa, tenendo workshops di yoga in Belgio ed in Olanda. Negli anni successivi vi è ritornata con regolarità, tenendo workshops anche in Italia.
Yoga based on authentic Indian traditions ha visto la luce all’inizio del 2011 e, anche a fronte dei soggiorni di Smriti in Italia, abbiamo pensato valesse la pena tradurlo nella nostra lingua.
Personalmente mi sono concentrato sugli aspetti storico-filosofici della disciplina yogica, senza trascurare la cornice in cui questa ha avuto sviluppo: l’India, con particolare riferimento a Benares, città natale di Smriti.
Non mi interessava, difatti, parlare solo di yoga ma, dopo sei anni di vita in India, scrivere un testo che fosse di più ampio respiro ed in cui lo yoga venisse considerato per quello che, poi, da qualche decennio, realmente è: un ponte tra Oriente ed Occidente.
Spero di essere riuscito nel mio intento.
L’ultimo capitolo del testo è maggiormente tecnico; presenta un servizio fotografico di Smriti nell’atto di praticare alcune āsana, esercizi di prānāyāma ed alcuni mudra e relativo commento. Non mi sento, tuttavia, di definirlo più didattico, in quanto non credo che una corretta pratica delle āsana possa essere appresa da un libro. Questo credo piuttosto possa rappresentare, per il discente, un elemento di supporto agli insegnamenti di un autentico maestro di yoga (“specie” che credo sia in via di estinzione).
A quest’ultimo riguardo, mi sento di mettere in guardia i lettori contro la miriade di yogi e yogini non proprio illuminati/e. Per quel che ho avuto modo di notare, a fronte delle mie frequentazioni di ambienti yogici tanto occidentali quanto indiani, la cultura dello yoga risente, non di rado, di un inquietante approccio “gurista” che credo rechi con sé, in molti casi, semi di forme più o meno larvate di “plagio”.
Personalmente credo che maestri con cui potersi permettere di praticare il total surrender, nella storia, siano stati poche decine. Mi sembra del resto evidente quanto l’essere umano, malgrado tutto quello che possa dire o pensare, non giunge praticamente mai a trascendere integralmente il proprio ego (mentre attraverso pratiche come lo yoga può, agevolmente direi, implementare il suo potere personale, con l’effetto che “i semi di forme più o meno larvate di plagio” possano produrre frutti più subdolamente velenosi) e dunque non credo davvero meriti la fiducia indebita che spesso, in contesti come quello yogico, richiede.
Nè credo abbia il diritto di mettersi in cattedra, impartendo piccole/grandi lezioni di vita, dando spesso ― aggravante di non poco conto ― uno spettacolo di dubbio gusto.
Riconoscere un eccessivo potere carismatico ad un individuo che, al di là di fumose suggestioni, è una persona qualunque (perché gli uomini realmente straordinari sono drammaticamente rari e non per questo sermpre angelici) significa porlo nella condizione in cui “la tentazione fà l’uomo manipolatore e plagiatore”.
Il mio consiglio è dunque di praticare, sì, lo yoga per gli straordinari effetti terapeutici che ha, sia sul piano fisico che psicologico ma di non cedere alla suggestione, tutta indiana, “dell’illuminazione ai piedi del guru come l’unica possible” (suggestione, in Occidente, venduta in dosi subdolamente omeopatiche ed indirette per non risvegliare l’illuminista che è in noi).
Questa che io considero, naturalmente con le eccezioni del caso, un’impostura venne già fortemente ridimensionata dal riformatore Gautama Siddharta, il Buddha, 2500 anni orsono.
E’ sopravvissuta nella cornice di un paese a cultura fondamentalmente autoritaria (e che, in tempi antichi, con il modello del “sovrano assoluto”, ha esportato peculiari forme di autoritarismo in buona parte dell’Asia) ed ha talora ispirato discutibilissime modalità di manipolazione psicologica individuale e di massa anche in Occidente.
Una ragione per cui mi è presto piaciuta Smriti è la sua profonda genuinità, un’attitudine talmente amicale, con gli allievi, dal traslare le coordinate del rapporto molto più nella dimensione del sentimento che in quella di una relazione professionale.
Del resto, chiunque la conosca sa che Smriti è eccentrica un po’ per tutti i parametri, occidentali od orientali che siano.
In una parola, credo di aver trovato in Smriti una yogini ragionevolmente autentica e che la maggiorparte dei suoi allievi hanno trovato un’amica cara e non, vivaddio, un guru.
Io ho anche trovato in lei una compagna di vita, cosa che non va giù ad alcuni suoi allievi ed alcuni sedicenti maestri di yoga che hanno lavorato con lei. Non pochi hanno nutrito, nei suoi riguardi, aspettative ingenue (il guru incorruttibile alla carne) e non è mancato, un caso in particolare, chi ha dato prova di morbosa possessività.
Rischi fisiologici per chi si avventura in una relazione con una yogini? No, se si ha l’intelligenza di non dimenticare mai che non è necessariamente più vicina alla moksha di quanto lo possa essere il fornaio del mio paese (l’impareggiabile Mr. Broglia) ― pur conoscendo bene le āsana, il prānāyāma, le tecniche di meditazione ed essendo in grado di trasmetterle agli allievi perché ne facciano l’uso migliore ―.
No, se si è decisi a fare piazza pulita di molte inutili suggestioni e ad organizzare periodici V Days (visto che pare proprio abbiano riscosso un buon successo) per tutti coloro che esagerano con proiezioni guriste di vario ordine e grado.
Lo yoga fa bene, la meditazione ancora di più ma, in sei anni di vita in India, non ho avuto il privilegio di conoscere un illuminato, un essere pienamente realizzato (di cialtroni e cialtronacci tanti quanto le stelle nel cielo), nemmeno nella grande kermesse del Kumbha Mela.
In compenso, ho imparato e continuo ad imparare il valore inestimabile della saggezza, a proposito del quale cito un bellissimo sutra buddhista che scovai in un libro della biblioteca del monastero di Kopan, poco distante da Kathmandu:

«Non fatevi guidare dalla tradizione, dalla consuetudine o dal sentito dire; dai testi sacri, dalla logica o dalla verosimi-glianza, né dalla dialettica o dall’inclinazione per una teoria. Non fatevi convincere dall’apparente intelligenza di qual-cuno o dal rispetto per un maestro…quando capite da voi stessi che cosa è falso, stolto e cattivo, vedendo che porta danno e sofferenza, abbandonatelo….e quando capite da voi stessi che cosa è giusto…coltivatelo».

Con il permesso di sedicenti guru e gurastri, credo non ci sia altro da aggiungere.
Buona lettura!

Manuel Olivares