Sincretismi, Islam e carovaniere

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Sincretismi, Islam e carovaniere

Di seguito l’ottavo articolo del nostro collaboratore Silvio Marconi, per la serie: eterodossie, eresie o, semplicemente sincretismi nell’Islam”.

Il primo riporta il titolo della serie. Per leggerlo cliccare qui!

Leggi il secondo articolo: Aicha e il Sufismo.

Leggi il terzo articolo: Islam, confraternite, esoterismo e dintorni.

Leggi il quarto articolo: Drusi e dintorni.

Leggi il quinto articolo: Islam e marabuttismo.

Leggi il sesto articolo: Ancora su marabuttismo e suoi dintorni.

Leggi il settimo articolo: Il caso estremo degli yazidi

La foto a sinistra è stata presa da questo sito.

 

 

 

 

Una necessaria parentesi

Prima di continuare questo viaggio nelle eresie e fra i polisincretismi in ambito islamico, spesso considerati banalmente “eterodossie”, occorre fare una necessaria parentesi sul rapporto fra questa realtà polisincretica ed una realtà spaziale, geografica, socioeconomica, culturale di formidabile importanza durante tutta la storia eurasiatica ed africana: quella delle carovaniere. Due sono le aree principali, anche se non esclusive, di fioritura del fenomeno carovaniero nei continenti eurasiatico ed africano o, per meglio dire, in quel blocco immenso di terre che include Africa ed Asia con la sua propaggine europea e che solo le deformazioni eurocentriche portano a suddividere in tre continenti. La prima area è quella della rete delle carovaniere transahariane, collegate attraverso il Nordafrica alla rete delle rotte trans-mediterranee e, attraverso il Sahel, alle culture delle regioni dell’Africa Nera; è la rete resa possibile dalle realizzazioni delle culture oasiane fin dalla Preistoria e dalla Protostoria e che veicola merci e persone (libere e deportate, invasori e vittime in fuga degli invasori) e, quindi: idee, fiabe, culti, musiche, miti, costumi, cibi, tecniche, ideologie, e molto, molto altro senza le quali quei polisincretismi non sarebbero possibili.

 

 

 

Sistemi polisincretici nell’area sahariano-mediterranea

Non è un caso che proprio nell’area sahariano-mediterranea sorgono numerosissimi sistemi polisincretici, da quelli fra culture puniche, culture oasiane e culture saheliane e dell’Africa Nera in età antica, fino a quelli in ambito paleocristiano, a quelli in ambito ― appunto ― islamico, a quelli fra Cristianesimo cattolico ed ortodosso ed Islam o anche culti preislamici. Per limitarsi al tema che ci riguarda, alla fase islamica, è questo il luogo della massima fioritura del Sufismo come dei culti marabuttici, di numerose forme di rituale possessivo incentrato sulla trance come di traslazioni di elementi delle concezioni sciite e dei cerimoniali ad esse collegati; è il risultato di processi complessi che vedono spesso un protagonismo, non a caso rimosso in larga parte della storiografia accademico-scolastica, da parte dei più oppressi fra gli oppressi, che si riflette con forza rilevante nei diversi aspetti di quei polisincretismi non a caso scambiati per “eterodossie” da chi vede le concezioni religiose solo come sistemi rigidamente coerenti per decisione “dall’alto”, dato che “eterodossia” implica necessariamente una contrapposizione a qualcosa definito come “ortodosso” da parte di un sistema gerarchico, di un potere.

 

 

 

Protagoniste, le donne

Protagoniste di molti di quei polisincretismi in ambito islamico in area mediterraneo-sahariano-saheliana sono state storicamente le donne e ciò si traduce sia in una rilevanza particolare delle figure femminili nei riferimenti rituali-cultuali (dalle figure marabuttiche a quelle sufiche, ad esempio), sia in pratiche rituali-cultuali gestite dalle donne, comprese quelle di tipo possessivo. Ciò è stato reso possibile dal fatto che molti elementi delle culture africane sub sahariane sono penetrati nelle realtà islamiche (meglio sarebbe dire islamizzate, per evidenziare la realtà di preesistenze berbere e, talora, cristiane) attraverso le schiave domestiche e ― soprattutto ― le concubine, di origine sub sahariana, meno schiantate dalla fatica dei loro corrispettivi maschili e più a diretto contatto con le “padrone” e coi loro figli. Dunque in grado di “contaminare” le culture femminili delle classi egemoni e di trasmettere elementi culturali nella fase della cura dei bambini. Questo in ambito islamico più ancora che nelle società schiaviste classiche mediterranee (fenicia, punica, greca, romana, ecc. ) e in quelle ibero-cattoliche tardo medievali e post-medievali, perché nelle realtà islamiche, a differenza che nelle altre, i figli di un uomo libero e di una schiava erano considerati liberi e potevano fare qualsiasi carriera, ereditando patrimoni e diritti dal padre paritariamente coi figli delle donne libere. Questo comportava che mercanti, condottieri, ammiragli, teologi, visir, perfino Sultani e Califfi erano spesso figli di donne in condizione schiavile ed allevati da nutrici in condizione schiavile, da cui apprendevano fiabe e leggende, musiche e giochi, gusti e miti.

 

 

 

Protagonisti anche schiavi neri

Protagonisti, in modi e forme diverse, sono stati anche tanti schiavi neri uomini, nelle società islamiche, perché un’aliquota non irrilevante di loro non erano destinati al lavoro sfiancante in miniere, opere pubbliche, coltivazioni (soprattutto di canna da zucchero, cosa che poi verrà ripresa in forme enormemente più ampie nel “sistema della piantagione” europeo nelle colonie americane), ecc. ma, a differenza che nelle società cristiane, erano impiegati come soldati ed avevano quindi possibilità di autonomia culturale incomparabilmente maggiori, al punto che proprio da una esperienza di questo tipo si arrivò, in Egitto, alla configurazione di una vera e propria dinastia musulmana egemone: i Mamelucchi. Per questo una terza forma di protagonismo “dal basso”, mescolata a quella appena citata, è stata quella dei militari. Non dei grandi condottieri ma dei combattenti arruolati in ogni dove e in vari modi, che anche quando non erano neri subahariani, erano però spesso appartenenti a realtà etnoculturali ― come quella berbera ― che per secoli, addirittura per millenni, erano già state “contaminate” sincreticamente da elementi di matrice africana sub sahariana; ad esempio, se perfino il condottiero dei musulmani che nel 711 avviò la conquista islamica di larga parte della Penisola Iberica, Tariq, era un Berbero e addirittura un liberto, berberi erano la maggior parte dei suoi combattenti, spesso islamizzati soltanto superficialmente e berberi parteciparono alla conquista della Sicilia, alle incursioni in Sardegna, in Puglia e Calabria, al commercio con la Campania e l’Occitania, portando con sé i risultati di millenni di polisincretismi di matrice sub sahariana.

 

 

 

Contaminazioni

Senza quei polisincretismi, senza il ruolo delle reti carovaniere transahariane, senza l’azione di tante figure schiavili e militari, non avremmo avuto la diffusione delle percussioni in Europa, né riti possessivi come quello dell’Argia in Sardegna e della Taranta nel Salento, non avremmo avuto l’influsso sufico su Teresa d’Avila e su Francesco d’Assisi, su Boccaccio e perfino su Chaucer, non avremmo avuto gli ulteriori sincretismi e polisincretismi con il pensiero ebraico nel Cabalismo, non avremmo avuto parti del pensiero di Pico della Mirandola ma nemmeno il Flamenco (erroneamente ritenuto di pura origine gitana mentre ha radici islamiche) e non avremmo numerose famiglie i cui cognomi denotano una origine tipicamente berbera nell’ambito di una più ampia gamma di cognomi di origine nettamente musulmana. Come ricorda Giuseppe Giunta (Bompensiere, storia di un comune di Sicilia; ED.RI.SI, Palermo, 1983), abbiamo così in Sicilia Ciraolo, che deriva dal nome tribale berbero Giraua, Riina/Reina, dal nome tribale berbero Uarain, falcione, dal nome tribale berbero Ufergiuna, Tona/La Tona, dal nome tribale berbero Lemtuna, nonché Micciché, che trae origine da Mmis Kahena, ossia “discendente della Kahena”, la profetessa e condottiera berbera che lungamente guidò in Nordafrica la resistenza contro i Musulmani. Quanto ai cognomi di origine islamica, ecco Calderone (e l’equivalente spagnolo Calderon) da Khaldun, Ingrasci da Ibn Hauaschi, La Lumia da El Alami, Saia (in Spagna Saja) da Sayah, Taibba da tayb e si potrebbe continuare con Alfano, ballati, Busuito, Cammarata, carrubba, Curcuruto, La Verde, Licata (denominazione anche toponimica), Macaluso, Mancuso, Martorana (anche in questo caso denominazione pure toponimica), Musotto, Piraino, Scibetta, Tuzzé ed altri ancora.

 

 

440px-transasia_trade_routes_1stc_ce_gr2Seconda grande rete di carovaniere

Non meno rilevante anche nella nascita di sistemi di pensiero, di culto e rituali è la seconda grande rete di carovaniere, che ha dimensioni addirittura enormemente maggiori di quella trans-sahariana e che si potrebbe far coincidere con quella che solamente nel XIX secolo studiosi europei cominciarono a chiamare “Via della seta; si tratta in realtà di un insieme di sub-reti, fra loro collegate in una realtà che rappresenta il primo vero ambito di globalizzazione su vastissima scala accanto a quello trans-sahariano. Un insieme di sub-reti che collega un’area anatolico-elladica, un’area siro-palestinese (connessa a quella nilotica che fa da ponte col sistema sahariano), una mesopotamica, una iranica, una centrasiatica, una indiana, una cinese, dove la separazione fra le stesse aree appena elencate è spesso del tutto fittizia in alcuni periodi storici nei quali, ad esempio, ha più senso parlare di culture indo-iraniche piuttosto che di culture indiane ed iraniche, o addirittura si deve parlare di culture indo-iranico-ellenistiche (si pensi all’arte del Gandhara) o di culture siro-mesopotamiche  piuttosto che di culture siriane e mesopotamiche distinte (si pensi alla diffusione dell’alfabeto).

Noi occidentali, imbevuti di pregiudizi che fissano ad esempio le cosiddette “radici europee” alle “culture giudaico-cristiane”, dimentichiamo con facilità che quelle “culture giudaico-cristiane” non sono nate a Roma o a Parigi, non fanno parte come una radice rispetto ad un albero, inamovibile, delle basi della Cattedrale di Colonia o di quella di Canterbury, ma hanno visto la luce in Medio Oriente, sono…”extracomunitarie” come lo sono anche Sant’Agostino, San Pietro, San Paolo o i missionari cristiani egiziani che evangelizzarono l’Irlanda portandovi le simbologie copte di matrice addirittura etiopica che vengono banalmente considerate “arte celtica”…..

Anche nel definire le culture mediorientali ed indiane antiche, la visione distorta occidentale porta a privilegiare i grandi bacini fluviali, sul modello della realtà nilotica, e ci si concentra sul sistema TigriEufrate, sull’Indo, ecc.; certamente quelle aree sono state decisive nella fioritura delle civiltà dal Neolitico in poi ma la diffusione dall’uno all’altro di quei bacini di tecniche irrigue, modalità di coltivazione delle piante e di allevamento di taluni animali, tipologie edilizie, riti funerari, tecnologie metallurgiche, linguaggi, sistemi simbolici, elementi artistici, miti, tecniche militari, concezioni ideologiche, principi di sovranità, forme di scrittura, sistemi economici, modelli istituzionali, leggende, fiabe, giochi, mode, medicamenti, cibi, cosmologie, ecc. è stata resa possibile soltanto dall’esistenza della rete di carovaniere, oasi, luoghi di mercato e di sosta, porti, da Petra al Taklamakhan, da Palmyra a Chang’an, da Harappa a Gerico, e così via. Senza quelle reti e quegli scambi materiali ma anche immateriali, spesso realizzati attorno ai fuochi di un bivacco o nel cortile di un caravanserraglio, fra i banchi di un mercato strutturato o nell’incontro fra individui in un santuario, la vitalità incredibile in termini tecnici e religiosi, artistici ed economici, sociali e militari di quelle regioni sarebbe stata certamente minore e a quegli scambi più o meno pacifici si devono aggiungere gli effetti collaterali delle migrazioni, degli spostamenti di eserciti compositi (spesso con intere popolazioni o segmenti di esse al seguito), di spie e diplomatici, di deportati e schiavi, di pellegrini e di missionari, di studiosi e di fuggiaschi, di ribelli e di banditi.

In effetti, in questa seconda realtà di reti carovaniere nacquero le forme di diffusione e “contaminazione” di altre correnti di pensiero delle principali concezioni religiose dell’età antica, da quelle sumere a quelle assire ed ittite, a quelle della Valle dell’Indo a quelle del dualismo iranico; nella stessa area nacquero le tre principali religioni monoteiste del pianeta: Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, che si diffusero anche grazie a quelle reti, e vi nacquero lo Zoroastrismo ed il Buddhismo, mentre vi venne rielaborato quel complesso sistema di culti locali che gli Occidentali identificano con il termine di “Induismo. Si può dire che circa il 90% dei credenti sparsi ai quattro angoli del Pianeta oggi aderiscono ad uno dei culti (nelle sue innumerevoli varianti, esse stesse sovente polisincretiche) fioriti grazie a quel sistema di carovaniere euroasiatico e poi proiettatisi in diversi modi nel corso della storia altrove!

 

 

 

In sintesi…

Se si tiene conto di tutto quanto si è cercato di riassumere sinteticamente qui, diventa più comprensibile il fatto che solo una visione eurocentrica e ottusa può rifiutare di affrontare questioni come, ad esempio, quella delle correlazioni fra pensiero buddhista, Stoicismo ellenico e pensiero cristiano o fra concezioni e simbologie veterotestamentarie ebraiche, cultura sumerica e babilonese e cultura iranica o ancora fra oggetti e pratiche devozionali cristiani, culture indiane e cultura cinese.

Piaccia o non piaccia ai paladini del falso “purismo identitario”, scavando anche rapidamente dietro tanto di quel che siamo stati abituati a credere “nostro, cattolico” troviamo appunto campane inventate dai cinesi, rosari inventati dagli indiani (e adottati da cinesi e musulmani), angeli di matrice ideologica iranica, archi ogivali di matrice musulmana, riti popolari di origine sciita, aureole di origine indiana, concezioni apocalittiche di matrice iranica, festività di matrice mediorientale per mediazione mitraica, leggende di origine centrasiatica, pratiche mistico-ascetiche di origine indo-persiana e molto altro.

Esattamente lo stesso avviene in ambito islamico, piaccia o non piaccia a chi maschera il suo ruolo di guardiano  a contratto degli interessi di alcuni settori finanziario-industriali dell’Occidente dietro proclami di “ortodossia islamica” e conseguenti pratiche barbariche e avviene per lo stesso motivo, ovvero i polisincretismi, nello stesso ambito, quello di una sostanziale unità afro-euro-asiatica, sulla stessa base che è costituita da quei due sistemi di reti carovaniere, fra loro interconnessi.

 

 

 

Condizioni geografiche diverse nelle Americhe

C’è una ragione geografica, oltre che molte motivazioni storiche, dietro a tutto questo, che distingue, ad esempio, quanto avvenuto in questo ambito da quanto è avvenuto nelle Americhe.

L’area di massimo insediamento umano nel blocco Afro-Euro-Asiatico si sviluppa sostanzialmente in modo orizzontale, dall’Atlantico al Pacifico, includendo lo stesso Sahara che in età protostorica era fertile (si vedano gli eccezionali studi di Pietro Laureano sul ruolo del Sahara come culla di culture) ed un mare chiuso come il Mediterraneo, che fin dalla Preistoria fu più spazio di interconnessione (anche grazie alla conformazione delle sue coste, alle sue penisole, alle sue isole che facilitavano la navigazione) che di separazione, nonché altri bacini marittimi chiusi tra masse di terra come il mar Nero e il mar Rosso e che si affaccia su un Oceano Indiano che è caratterizzato dal fenomeno monsonico, ostacolo tremendo per la navigazione di chi non lo conosca, ma ausilio eccezionale ad essa per chi lo sappia governare.

Questa relativa “orizzontalità” ha consentito ad esempio che piante, tecniche di coltivazione, animali, modalità di loro allevamento, tipologie edilizie e molto altro siano potute essere oggetto di trasferimento, intreccio e rielaborazione senza eccessive difficoltà perché si restava nella stessa fascia eco-climatica. Così non è per il continente americano, che si sviluppa in senso verticale sul globo terrestre, dove infatti gli scambi fra le regioni settentrionali e quelle meridionali sono stati minimi, quasi inesistenti, e nonostante l’immane sforzo in epoca pur tuttavia tarda realizzato dallo stato quechua (che siamo abituati a chiamare incaico) sulla Cordigliera delle Ande e nelle regioni contermini, non ha mai visto nulla di simile alla rete transahariana di carovaniere e/o a quella euroasiatica definita nel XIX secolo (ma esistente da millenni) “Via della Seta”. Un continente che, a parte l’area caraibica e non in modo paragonabile al Mediterraneo, non ha spazi marini “racchiusi” fra terre e sistemi di isole che favoriscano i traffici marittimi ed inoltre ha visto la precoce estinzione del cavallo, che non è stato pertanto di ausilio (fino al suo “ritorno” coi conquistadores spagnoli) ai traffici ed ha anche visto l’assenza di ogni altro tipo di animale che potesse coadiuvare nei trasporti (essendo i camelidi tipo lama, vigogna e alpaca incapaci di reggere tali sforzi e i bisonti in addomesticabili…) come pure nell’aratura.

In effetti, limitandosi solo alla dimensione cultuale-rituale-sacrale che è quella che stiamo affrontando, nelle Americhe se prima della sanguinaria conquista europea vi sono numerosi elementi di similitudine fra sistemi di credenze, cultuali e rituali di diverse aree geografiche e culturali, ciò dipende, a differenza che nella realtà afro-euro-asiatica (e specificamente in quella che dal VII secolo è luogo della fioritura islamica e dei polisincretismi nel suo seno), non da influssi reciproci e sincretismi, se non in misura marginalissima ma dal fatto che tutte le popolazioni che hanno sviluppato culture anche assai complesse (si pensi solo al livello della matematica maya….) nelle Americhe sono discendenti dei gruppi umani che migrarono in quelle terre dal “ponte di terra” creatosi per un certo periodo alcune decine di migliaia di anni fa nell’attuale Stretto di Bering, che consentì la diffusione dell’Homo sapiens a partire dalle culture preistoriche siberiane ed hanno quindi un substrato culturale, cultuale e rituale comune, antico (stiamo parlando appunto di alcune decine di migliaia di anni) ma la cui differenziazione è avvenuta in epoche relativamente più recenti di quelle prodottesi a partire dal substrato comune afro-euro-asiatico (di matrice africana) per le popolazioni che si sono diffuse dal Maghreb alla Cina, dalle Isole Britanniche alla regione del Capo di Buona Speranza. I veri sincretismi e polisincretismi si manifesteranno nelle Americhe soprattutto come forme resistenziali contro la cristianizzazione forzata e vedranno d’altra parte la componente nera (di matrice schiavile e contenente anche una minoranza islamizzata….) come protagonista essenziale rispetto alle stesse componenti precolombiane.

 

 

I libri di Silvio Marconi

 

Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.

 

Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).

Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro