Storia del fenomeno comunitario: esiti comunitari del protestantesimo radicale

Posted in Blog

Storia del fenomeno comunitario: esiti comunitari del protestantesimo radicale

«Città di merda, Wittenberg. Miserabile, povera, fangosa.
Un clima insalubre e aspro, senza vigneti né frutteti, una birreria fumosa e gelata.
Che cosa c’è a Wittemberg, se togli il castello, la chiesa e l’università?
Vicoli sudici, strade piene di mota, una popolazione barbara di commercianti di birra e di rigattieri.
[…]
Martin Lutero, la sua fama è volata sulle ali del vento, anzi sui torchi degli stampatori che hano reso famoso questo posto, fino a un paio di anni fa dimenticato da Dio e dagli uomini».
(Luther Blisset, Q, Einaudi, Torino, 2000, p. 29)

Dopo aver considerato, in un post precedente, gli esseni, superati con una lunga falcata l’epoca classica ed il medioevo, ha un interessante esito comunitario l’anabattismo, movimento fondato tra il 1523 ed il 1525 da Conrad Grebel in Svizzera.
Nella seconda metà del cinquecento il fenomeno verrà identificato dal riformatore svizzero Heinrich Bullinger, successore del celebre Ulrich Zwingli, con la “Riforma radicale”, ovvero con una corrente estremista della Riforma Protestante.
Gli anabattisti, in opposizione a Zwingli, non conferivano alcun valore al battesimo dei bambini, non documentato, sostenevano, nei vangeli.

«Grebel [ne] negava la validità […], ritenendo che tale sacramento potesse essere somministrato soltanto agli adulti e, più precisamente, a quelli che avessero scelto liberamente di imitare la vita di Cristo: di conseguenza i convertiti dovevano essere ri-battezzati […] da cui il termine anabattista»
(Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. III, Sansoni, Milano, 1983, p. 271).

Allo stesso tempo, Grebel chiedeva la totale separazione fra le autorità religiosa e secolare oltre ad una rapida e radicale de-cattolicizzazione della fede protestante. Il radicalismo degli anabattisti diviene presto motivo di persecuzioni ed esecuzioni capitali ma non manca di diffondersi fuori dei confini svizzeri, in Germania, Alsazia, Moravia (regione dell’attuale repubblica Ceca) ed in Olanda.
L’espansione degli anabattisti sul territorio mitteleuropeo non li preserva, in breve tempo, da nette divisioni interne.

La principale è tra coloro che credono nella lotta violenta (primo tra tutti Jan Bockelson che, a partire dal 1534, occupa per un paio di anni la città tedesca di Münster, proclamandosi “re di Sion” e reintroducendo pratiche vetero-testamentarie come la poligamia) e l’ala maggioritaria, radicalmente pacifista.
Da quest’ultima origineranno correnti “a vocazione” comunitaria: gli amish e gli hutteriti.
Iniziamo, tuttavia, a considerare le prime esperienze comunitarie anabattiste, all’indomani della morte del fondatore, Conrad Grebel, nel 1526.
È bene premettere che gli anabattisti coltivavano un esplicito rifiuto del mondo e, volendosi dissociare dalla chiesa “caduta”, riconoscevano potere assoluto solo alla Parola di Dio ed allo Spirito Santo (sulla comunione del quale, nell’uguaglianza e nella libertà, avrebbe poggiato la loro cultura comunitaria) costituendosi in Sonderkirche, “chiesa a parte”.
Coerentemente con questi presupposti gli anabattisti crearono, in Moravia, le prime comuni contadine dell’era moderna, fondate su un radicale comunismo di produzione e di consumo. Non è arbitrario dire che, da un punto di vista organizzativo, queste e quelle delle successive espressioni del movimento anabattista, si sarebbero ispirate, direttamente o indirettamente, all’esperienza degli esseni e dei cristiani delle origini.
Tra il 1528 ed il 1529 sorgono tre Bruderhöfe (fattorie fraterne): nel territorio di Austerlitz, a Rossitz (una cittadina ad ovest di Brno) e ad Auspitz.
I problemi, ad Austerlitz e a Rossitz, non tardano a presentarsi.
I capi carismatici non lo sono a sufficienza, le predicazioni non soddisfano gli auditori, l’educazione dei bambini lascia a desiderare e l’eguaglianza, lamentano in particolare alcuni comunitari di Austerlitz, non è del tutto autentica, “perché gli anziani [permettono] ai più ricchi di avere le loro proprie case ed un vitto ed un vestiario migliori” (Ugo Gastaldi, Storia dell’anabattismo, Claudiana, Torino, 1992, p. 368).
Anche nel territorio di Auspitz, dove alcuni secessionisti di Austerlitz fondano un nuovo Bruderhof , il principio della comunanza dei beni non manca di generare attriti.
Viene scoperta una modesta somma di denaro in casa di uno dei due capi carismatici e gli costa l’espulsione dalla comunità.
L’altro capo carismatico si ritrova invece coinvolto in uno scandalo perché tradito dalla moglie.
Non investe del caso l’assemblea dei fratelli, come avrebbe dovuto e perdona “l’adultera” riprendendola con sé, subendo anch’egli la scomunica.
Tuttavia, malgrado litigi e contraddizioni, nel giro di pochi anni le comunità anabattiste, in Moravia, iniziano a prosperare.
Nel 1531 giunge ad Austerliz, dal Tirolo, il teologo Jakob Hutter cui faranno seguito, nel giro di 2-3 anni, la totalità degli anabattisti tirolesi.
L’incidenza di Hutter sull’intero movimento anabattista sarà notevole, dando vita al filone cosiddetto hutterita, cui abbiamo già accennato, particolarmente orientato alla vita comunitaria.

Gli hutteriti iniziano dunque ad organizzarsi in fattorie che, nella maggior parte dei casi, contano circa trecento persone (per quanto, nel tempo, ci saranno insediamenti con circa mille membri residenti) e sono orientate alla comunanza dei beni ed alla piena autosufficienza. Si ottiene cibo dall’agricoltura e dall’allevamento di animali e, per la quasi totalità degli oggetti di uso quotidiano, viene valorizzato l’artigianato. Viene stabilito che chiunque debba compiere un lavoro manuale, almeno per un certo periodo di tempo, anche chi proviene da ambienti nobiliari od ecclesiastici o coloro che esercitino professioni intellettuali, ad esempio di ministro, medico o insegnante.
L’ultima migrazione tirolese (nel 1534) non sfugge all’attenzione di Ferdinando d’Asburgo — sotto la cui giurisdizione ricade il territorio moravo — che obbliga i nobili locali ad espellere gli hutteriti. Siamo nel 1535; l’anno successivo è l’ultimo della vita di Jakob Hutter che, catturato a Chiusa, dopo feroci torture viene arso vivo ad Innsbruck. A seguito di questa persecuzione, vengono ricreate comunità hutterite in zone isolate della Moravia o in Slovacchia. La condizione degli hutteriti migliora nel 1564, a seguito della morte di Ferdinando d’Asburgo e la fondazione di centinaia di nuovi Bruderhöfe.
Nel 1621, duecento famiglie hutterite si trasferiscono in Transilvania, invitate dal principe Gabor II Bethlen mentre la Guerra dei trent’anni (1618-1648) determina la quasi “estinzione” degli hutteriti moravi.
Dalla Transilvania gli hutteriti raggiungeranno, nel tempo, la Valacchia, l’Ucraina ed Odessa da cui si trasferiranno, nel 1874, negli Stati Uniti (nel 1877 vengono fondati tre Bruderhöfe in Sud Dakota e presto il numero delle fattorie comunitarie si moltiplica, fino ad arrivare a contare quattrocento unità con circa quattromila residenti) e, successivamente, in Canada a seguito dell’introduzione, negli USA, della coscrizione militare obbligatoria.
Nel 1922 solo un terzo degli Hutteriti che avevano abbandonato gli Stati Uniti fa ritorno ai Bruderhöfe fondati in Nord e Sud Dakota, Montana, Minnesota e nello stato di Washinghton.
Ancora oggi, dunque, gli hutteriti vivono soprattutto in Canada e, in misura minore, negli Stati Uniti, preservando la loro fede e le loro strutture collettiviste. Sono diverse decine di migliaia ed ancora parlano il dialetto tedesco dei loro fondatori del sedicesimo secolo.
L’organizzazione interna della Fratellanza hutterita — non del singolo Bruderhof; credo meriti sottolineare, con Ugo Gastaldi, che in ambito hutterita «la comunità è una sola» — prevede, tradizionalmente, un capo carismatico e vitalizio, il Vorsteher cui si affiancano i ministri della parola di Dio (Diener des Wortes) ed i ministri della gestione economica (Diener der Notdurf).

«In ogni Bruderhof v’era almeno un “Diener des Wortes”, affiancato da assistenti e da anziani, mentre i “Diener der Notdurf” potevano essere più d’uno, sebbene normalmente vi fosse un unico responsabile con vari collaboratori strettamente dipendenti, cui erano affidati differenti compiti, come quello di addetto alle opere (Einkaüfer) o preposto ad una delle attività artigianali (Fürgestellte), o a uno dei rami della produzione agricola (Meier e Kellner).
La spina dorsale della Fratellanza era naturalmente costituita dai “Diener des Wortes”, che avevano il compito di tener desta la coscienza delle ragioni spirituali della vita comunitaria […].
La procedura della loro scelta rispecchia la prudente cautela che caratterizza tutta la vita della Fratellanza. Gli aspiranti, che erano sempre numerosi, dovevano essere attentamente vagliati e presentati all’assemblea, che ne eleggeva quanti ne occorrevano sorteggiandoli […].
Dopo un periodo di prova si aveva conferma dell’ufficio, che avveniva in forma solenne dinanzi all’assemblea mediante l’imposizione delle mani da parte degli anziani. I “servitori della parola” erano tenuti in grande onore e ad essi si
riserbava un trattamento di riguardo per quanto concerneva la mensa, il vestiario e l’abitazione, cosa che sollevava non poche critiche da parte degli anabattisti degli altri gruppi, che erano più rigorosamente egualitari» (Ugo Gastaldi, Storia dell’anabattismo, Vol. II, Claudiana, Torino, 1981, pp. 507-508).

La disciplina, nei Bruderhöfe, è sempre stata piuttosto rigorosa avvalendosi, talora, del provvedimento di espulsione di membri poco inclini a rispettarla.
Da secoli i Bruderhöfe, oltre ad essere in grado di provvedere al sostentamento dei propri membri, producono merci di buona qualità che poi mettono sul mercato a prezzi ragionevoli. Tra queste: birra, ceramiche, oggetti di metallo, tessuti, vetri ed orologi. I Bruderhöfe, inoltre, sono sempre stati autonomi sul fronte della scolarizzazione dei più piccoli avendo, ciascuno, una «scuola piccola» per i fanciulli da due a sei anni ed una «scuola grande» per quelli da sei a dodici anni, garantendo a tutti un istruzione primaria, cosa senz’altro degna di nota se consideriamo che le prime comunità hutterite risalgono alla prima metà del sedicesimo secolo. Superati i dodici anni tutti venivano e vengono ancora oggi avviati, indistintamente, ad imparare un mestiere, in virtù della profonda valorizzazione del lavoro manuale cui abbiamo già accennato.
In chiusura due parole sulla gütergemeinschaft — “comunità di beni” —, ovvero sul «completo comunismo di produzione e di consumo nell’ambito di una comunità volontaria di credenti» cui fà da corollario la messa in comune dei beni dei nuovi membri ammessi. Questa è sempre stata considerata «la perfetta attuazione dell’ascesi cristiana e dell’amore dei fratelli» ed un ottimo antidoto, nell’ambito di uno stile di vita austero e frugale, all’egoismo ed al narcisismo.
Una prospettiva che aveva ed ha ancora oggi, molto probabilmente, un suo fascino ma che non ha mancato di creare problemi, come del resto è accaduto nell’ambito di scelte comunitarie radicalmente collettiviste.
Ad esempio, citando ancora Gastaldi:

«[Nei Bruderhöfe] i ministri avevano un mezzo disciplinare per allontanare coloro che si mostravano indegni o incapaci di adattarsi: la facoltà di proporre alla comunità la loro esclusione (Ausschluss). Era qualcosa di simile al bando (Bann) praticato dalle comunità anabattiste, ma con la differenza che alla sanzione di carattere religioso si abbinava quella di carattere economico e sociale, perché l’escluso cessava anche di far parte della comunità dei beni. D’altra parte chi voleva andarsene spontaneamente era padronissimo di farlo in ogni momento, perché l’appartenenza alla comunità era del tutto volontaria». (Ivi, p. 508)

Siamo dunque di fronte ad un caso che io definisco di “difficile reversibilità della scelta comunitaria”, in ragione , tra le altre cose, di una penalizzazione economica. Questa non può non avere ripercussioni sulla sfera psicologica, contribuendo fortemente a demotivare la persona che vorrebbe uscire dalla comunità a compiere la sua scelta. E’ una questione che, in ambito comunitario, non ha riguardato e non riguarda solo gli hutteriti ma anche, per riportare un esempio celebre, molti kibbutzim ed è stata una delle ragioni che ne ha determinato, come vedremo, lo spostamento su posizioni più “privatiste”.
Al riguardo credo meriti riportare un caso, citato sul testo di Gastaldi, dell’abbandono di una comunità hutterita da parte di un membro:

«Un ticinese, Alessio Todeschi, che fu per qualche tempo tra gli hutteriti di Moravia, riferì quanto segue in una deposizione processuale: “…quelli che entrano in quella [congregation del ben comun] vendono tutto quello che hanno et dano li denari del tratto a beneficio della congregation….; et s’alcuno vuol poi uscir fuori non puol rehaver pur un bagarino, se ben avesse sborsato diece mile ducati”» (Ibidem)

Oggi l’esperienza hutterita è ben lungi dall’essersi esaurita. Stando ai dati più aggiornati che si possono trovare in rete — it.wikipedia.org/wiki/Hutteriti — In America del Nord vivono circa 36.000 hutteriti, divisi in tre grandi gruppi:

• Schmiedeleut, presenti in Canada, Minnesota , North Dakota e South Dakota
• Dariusleut, presenti in Canada, Washington e Montana
• Lehrerleut, anch’essi presenti in Canada, Washington e Montana

 

 

Per approfondire

 

Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.

 

Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.

 

Leggine l’introduzione

 

Prezzo di copertina: 16.5 euro

 

Disponibile anche in formato Kindle