Un’analisi sociologica della paura della cultura e religione islamica

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Un’analisi sociologica della paura della cultura e religione islamica

Dagli attentati terroristici avvenuti in questi anni, soprattutto dall’11 settembre 2001 fino agli anni recenti, si è venuta a creare una paura dell’Islam.
Ma cos’è l’Islam? Come mai i mass media parlano di attentati terroristici di matrice islamica? Nel campo dell’educazione, noi educatori, quali strumenti di formazione e di convivenza civica possiamo adoperare?
Con queste domande si è svolta una ricerca dal titolo:
 من ترس ندارم Un’analisi sociologica della paura della cultura e religione islamica di cui condividiamo alcuni stralci con i lettori di Viverealtrimenti. Attraverso questa si è cercato di dimostrare quali sono le basi sociologiche, antropologiche che diffondono la paura nei confronti dei fedeli musulmani, caratterizzata da sentimenti di odio e razzismo trasmessi dai mass media e capire quali strumenti poter utilizzare affinché si possa parlare di dialogo interculturale e interreligioso.

Iniziamo con questo primo post a conoscere meglio l’Islam in generale. Seguiranno post di approfondimento…inshaAllah!

Carina Gregori: laureata in Educatore Professionale di Comunità presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Sta frequentando il Master in Educazione Interculturale promosso dal CREIFOS (Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e la Formazione e allo Sviluppo).

 

 

Origini dell’Islam 

 

Viaggiare non è un’occasione di spasso, ma di apprendimento. Passare frontiere, superare la paura dello straniero, fare lo sforzo di comprenderlo, è decisamente un modo meraviglioso di arricchirci. Ci permette di capire chi siamo, e come la nostra cultura ci tratta. (F. Mernissi, L’harem e l’Occidente, Giunti Editore, 2006, p. 73)

 

…Questo lo possiamo iniziare a fare attraverso la storia. Le origini dell’Islam sono strettamente legate alla figura del profeta Muhammad. Perciò l’Islam è una religione della Parola rivelata, secondo il punto di vista di chi crede, da Dio a un uomo, scelto da Dio stesso come suo inviato. La professione di fede per musulmani contiene tutti questi elementi: l’esistenza di un solo Dio e la relazione specialissima che questo Dio ha deciso di intrattenere con un essere umano elevandolo a suo messaggero (rasul Allah) [E. Pace, Sociologia dell’Islam, Carocci Editore, Nuova edizione aggiornata, 2004].

 

A partire, infatti, dal Corano e dalle raccolte dei detti e fatti del Profeta (Hadith) per giungere sino alla grande messe di testi posteriori alla sua morte che descrivono la concreta dimensione umana di Muhammad. Il primo elemento biografico da cui prendere le mosse è il fatto che Muhammad diventi profeta in una fase avanzata della sua vita. Prima egli è un uomo, il quale apparteneva a un clan, quello hascemita dei Quraysh. Dell’infanzia e della giovinezza di Muhammad vale la pena ricordare alcuni eventi. Il primo: ben presto rimase orfano di entrambi i genitori e la sua vita, sotto la guida di uno zio, suo legittimo tutore, prese una piega comune a molti uomini del suo tempo: l’attività di mercante che condusse ben presto Muhammad a entrare in contatto con popoli diversi per cultura, religione e costumi. Il secondo: il matrimonio con Khadijia bint Khuwaylind, che aveva ereditato dai suoi due mariti una fiorente attività commerciale. Un matrimonio che segnò un netto salto di qualità per Muhammad: un maggior benessere e conseguentemente una maggior disponibilità di “tempo per sé”, mantenendo un equilibrio dalle pressanti preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana che lo avevano in qualche modo preoccupato dopo la morte dei suoi genitori. La tradizione colloca le prime esperienze estatiche di Muhammad attorno ai 35 anni d’età, quando ormai aveva consolidato sia il suo rapporto con Khadijia, sia la sua collocazione sociale. Il terzo elemento da tenere presente è lo sfondo religioso sul quale si colloca la vita di Muhammad. La Mecca era divenuta una fiorente città-Stato che traeva vantaggi economici soprattutto dalla posizione strategica che essa occupava al crocevia di grandi strade carovaniere e in subordine dall’esistenza di un santuario, la Ka’ba, da tempo immemorabile punto di attrazione religiosa per molte tribù della penisola arabica. Erano diffusi nella penisola arabica e nei paesi a essa vicini anche l’Ebraismo e il Cristianesimo.  È bene tenere presente questa realtà plurale dell’ambiente socio-religioso che fa da sfondo alla predica iniziale di Muhammad per comprendere il sentimento di grande rispetto che nel Corano traspare nei confronti di queste due religioni. L’Ebraismo si era diffuso dopo la caduta di Gerusalemme (nel 70 d.C.) e aveva conosciuto una certa fortuna quando un signore arabo del sud della penisola araba, Yusuf Ash’ar, si era convertito alla religione ebraica. A Yathrib, dove Muhammad deciderà più tardi di eleggere la sua nuova sede per mandare avanti la sua missione religiosa, dopo l’emigrazione da Mecca, c’erano fiorenti comunità ebraiche con le quali il Profeta entrerà in un primo momento in stretti rapporti. Il Cristianesimo, anche se meno radicato e diffuso dell’Ebraismo, faceva sentire la propria presenza o ai confini della penisola araba o nella parte dell’estremo sud della penisola, da dove muoverà alla conquista di un più vasto territorio un guerriero battezzato nella fede di Cristo, Abraha, nel 525 d.C. Dunque Muhammad acquisisce consapevolezza della sua missione profetica in età adulta, in circostanze particolari della sua vita e in un contesto religioso pluralista. Muhammad, inoltre, prende coscienza gradualmente dello status di profeta, dopo un’intensa esperienza di meditazione nella solitudine e nel silenzio del deserto. Sui monti vicini a La Mecca Muhammad si sottopone a una disciplina di vita spirituale che lo abitua a staccarsi dalle contingenze della vita quotidiana e a entrare in un’altra dimensione: impara a non ascoltare più le voci esterne del mondo, ma a mettersi in ascolto delle sue voci. Quando Muhammad con i suoi discepoli decide di emigrare da La Mecca verso la città di Yathrib: il 622 diventa così il primo anno nel calendario religioso islamico. Calendario, che essendo regolato sulle fasi lunari, presenta una sistematica sfasatura con il tempo tradizionalmente disciplinato dalla sequenza delle feste e dei santi del Cristianesimo. L’anno islamico, infatti, è formato da 12 mesi lunari di 29 o 30 giorni per un totale di 354 giorni. Il Corano è il testo sacro che si compone di 114 sure o capitoli, tradizionalmente distinti in capitoli che risalirebbero al periodo iniziale della predicazione del Profeta a La Mecca e capitoli che invece rimonterebbero al periodo di Medina. I primi riflettono la condizione estatica del Profeta e perciò si presentano secondo un genere letterario tipico della letteratura profetica. I secondi, invece, hanno sovente la forma di articoli di un codice giuridico, scritti con uno stile e linguaggio prescrittivo. All’interno del Corano troviamo prima i capitoli di origine medinese, le sure meccane in fondo.

Nell’analisi del fenomeno religioso si suole distinguere l’aspetto istituzionale e le forme concrete di espressione di religiosità. È una distinzione che è stata a suo tempo teorizzata, fra gli altri, da Georg Simmel e che si rivela molto utile quando occorre studiare i sistemi di credenza dotati di una elevata complessità interna e di molteplici relazioni con l’ambiente sociale esterno. La religione islamica può essere considerata, infatti, una vera e propria grammatica generativa della nuova società che nasce nel cuore della penisola arabica. La realtà storica del passato e la realtà contemporanea sono lì a dimostrare come i musulmani in carne e ossa abbiano voluto e dovuto spesso adattare un ideale modello societario alle diverse circostanze della storia, alle particolari caratteristiche culturali di società nelle quali quel modello ha cercato di prendere piede e ai non prevedibili sviluppi degli eventi. L’Islam è un sistema di credenza che si sforza di ricondurre la complessa varietà delle situazioni sociali. Nell’Islam troviamo una dimensione istituzionale del credere, per un lato, e una dimensione spirituale più propriamente soggettiva, propria di individui e gruppi di credenti, per un altro. L’Islam si rappresenta come una religione profondamente laica, cioè fondata sul principio della interiore conversione alla fede e alla responsabilità della coscienza individuale davanti a Dio. L’Islam storicamente ha codificato un insieme di regole che vengono considerate i princìpi-guida che ogni buon musulmano deve seguire. Ci sono, secondo Emile Durkheim, credenze obbligatorie e credenze facoltative: le prime tracciano i confini della religione per così dire pubblica (della religiosità intrinseca), le seconde sono lasciate alla creatività interiore di credenti singoli o di gruppi di credenti. Le credenze obbligatorie tracciano un percorso predefinito nell’espressione della religiosità, sono una tipicizzazione dei comportamenti religiosi, prescritti come i sacramenti nel catechismo cattolico; le credenze facoltative rinviano all’idea basilare che è ricavabile dal Testo sacro secondo la quale nell’Islam “non c’è costrizione nella religione”, l’avere fede non può essere frutto di una imposizione. Storicamente le cose non sono andate così; come è accaduto per altre grandi religioni mondiali anche nel caso dell’Islam in varie circostanze storiche califfi o sultani hanno imposto il credo religioso a popolazioni riottose come una camicia di forza. Nell’Islam non esiste niente di equivalente a una istituzione di salvezza del tipo Chiesa. Tuttavia esiste un problema sociologicamente rilevante che rende l’affermazione appena fatta e da noi condivisa in linea di massima un po’ meno apodittica. Nell’Islam esistono cinque pilastri: professione della fede, la preghiera cinque volte al giorno, l’elemosina rituale, il digiuno durante il mese sacro di Ramadan e il pellegrinaggio almeno una volta nella vita alla Mecca. Ognuna di queste pratiche religiose a sua volta è stata minuziosamente regolamentata, tant’è che il credente che le rispetta integralmente segue gesti esteriori che si trasmettono di generazione in generazione. I cinque pilastri appaiono, in una prospettiva sociologica, una complessa e potente organizzazione della religiosità, una disciplina di massa a cui il credente singolo si sottopone di buon animo adempiendo ai doveri sacri prescritti. Le pratiche religiose dei musulmani subirono una giuridicizzazione: furono cioè sottoposte a una precisa regolamentazione di carattere giuridico. Il diritto musulmano nasce come prosecuzione del lavoro di costruzione della Legge coranica e dunque non deve sorprendere che la scienza interpretativa nel mondo musulmano non fu alle origini né la filosofia né tanto meno la teologia, ma il fiqh (da cui deriva il nome degli specialisti, fuqaha): Giurisprudenza islamica. La mentalità giuridica degli esperti in fiqh gradualmente prese il sopravvento sull’originaria impostazione religiosa e, alla fine, prevalse nel senso che le espressioni di culto o le manifestazioni esterne della fede religiosa vennero gradualmente studiate nei loro aspetti formali ed estrinseci, tralasciando le motivazioni interiori che stanno alla base di questi atti o, meglio, muovendo dal presupposto che le motivazioni interiori costituissero un presupposto non sindacabile dal momento che esse sono frutto della libera scelta del credente. Tutto ciò ha favorito uno spirito di libertà interiore del credente, chiamato a rispondere direttamente e solo a Dio delle sue intenzioni intime. La sociologia della religione che studia l’islam deve in tal senso prestare molta attenzione a come vengono regolati i comportamenti religiosi nell’ambito del fiqh. Una conferma a quanto appena detto proviene dalla realtà storica dell’Islam. Nel sunnismo soprattutto si verranno ad affermare ben quattro distinte scuole giuridicoreligiose, di cui parleremo in seguito.

 

 

Pratiche religiose

 

Le pratiche religiose sono una tipicizzazione dei comportamenti religiosi, prescritti come i sacramenti nel catechismo cattolico. Essi sono nell’ordine: la professione di fede, la preghiera cinque volte al giorno, l’elemosina rituale, il digiuno durante il mese sacro di Ramadan e il pellegrinaggio una volta almeno nella vita alla Mecca. Ognuna di queste pratiche religiose a sua volta è stata minuziosamente regolamentata, tant’è che il credente che le rispetta integralmente segue gesti esteriori e moti interiori dell’animo che si trasmettono fedelmente di generazione in generazione. La maggior parte delle pratiche religiose, si condividono all’interno della Moschea, luogo centrale dell’Islam praticato. Fino al 1970 non esisteva in Italia che una sola moschea, a Roma, antesignana della grande “moschea-cattedrale” che è stata formalmente inaugurata nel 1995. Oggi si possono contare non meno di duecento luoghi di preghiera, che diventano molti di più includendo anche quelli meno strutturati e in qualche modo “di fortuna”. La loro presenza è abbastanza omogeneamente diffusa in tutta Italia, non solo nelle grandi città, ma anche nelle città medie e nell’ambiente agricolo, laddove c’è una presenza di immigrati. Se ne trovano a nord come a sud, anche se quelle meridionali sono assai meno conosciute, anche all’interno dello stesso mondo islamico, e quelle del centro-nord spesso meglio organizzate (Stefano Allievi, Islam italiano, Einaudi, 2003). 

 

 

I Cinque Pilastri della Fede (Arkan)

 

Shahadah (Professione di fede)

La fede è espressa nel Shahadah, il credo Islamico il quale dichiara di credere “in un Unico Dio e l’accettare Maometto come ultimo Profeta di Dio.” La dichiarazione che viene letta è: la’ilaha‘illa Allah, Muhammadur rasulu Allah, in italiano “Non c’è altro Dio che Allah, e Mohammed è il suo messaggero”. Questo testimonia e sostiene le fondamenta del credo la quale è la base per tutti gli altri credenti e pratiche islamiche.

 

Salat (Preghiera Giornaliera)

I musulmani devono recitare cinque volte al giorno. È inteso come messa a fuoco nella mente in Dio ed è visto come comunicazione interiore con il Divino che è espresso attraverso gratitudine e adorazione. La fissazione dei tempi di preghiera è suddivisa in cinque momenti della giornata: alba/subh, mezzodì/zuhr, pomeriggio/‘asr, tramonto/maghrib, notte/‘isha). La Salat è d’obbligo ma al tempo stesso tempo flessibile, cioè, ognuno può stabilire gli orari che dedicherà alla preghiera. È eccezione il venerdì che viene chiamato al-juma’t, perché esso deve ricordare a tutti i buoni credenti che è il giorno dell’assemblea o preghiera collettiva nella moschea. La parola deriva da una radice verbale che significa “riunirsi”.

 

Zakat (Elemosina rituale)

Essa trova fondamento nel Corano che la definisce come un gesto di purificazione interiore: “Quelli che erogano le proprie sostanze, per la causa di Dio, somigliano ad un chicco di grano, che fa germogliare sette spighe, ognuna delle quali sono cento chicchi, Dio darà il doppio a colui che egli vuole.” (Sura Al-Baqarah, II, versetto 263) Anche questo precetto morale che si traduce in una erogazione di una parte dei propri averi a beneficio della comunità e dei poveri della comunità viene legato a una serie di norme giuridiche che ne regolano i tempi e quantità in base agli scaglioni di reddito dei diversi individui. L’elemosina verrà allora regolamentata come una vera e propria imposta che ogni buon musulmano deve pagare sul superfluo dei suoi guadagni. Si va dai poveri (faqir), che corrispondono alle persone in stato di povertà relativa, ai miserabili, che invece rappresentano coloro i quali giacciono in una condizione di povertà assoluta, ai “viandanti”, le persone oneste gravate di debiti ed infine, coloro che desiderano convertirsi e che ricevono un piccolo aiuto in caso di bisogno.

 

Sawm Ramadan (Digiuno)

Il digiuno (sawm) non è un fatto individuale; è in realtà un tempo sacro vissuto collettivamente: dalla famiglia che diventa per un mese un luogo dove si passa più tempo assieme, pregando e mangiando durante la notte a partire dal momento in cui si rompe il digiuno ( futur), ai luoghi di preghiera che si popolano mediamente più 25 di altri mesi dell’anno, per finire con la grande festa che segna la fine del mese sacro ( ‘id al-fitr). Durante il mese di Ramadan, si devono seguire determinate prescrizioni:

  • Esso è obbligatorio dallo spuntare del sole fino a poco dopo il tramonto;
  • Per tutti i musulmani adulti, in possesso delle facoltà mentali;
  • Per le donne che non siano in stato mestruale;
  • Deve essere preceduto da una dichiarazione di “retta intenzione”;
  • Deve concretizzarsi nell’astensione da qualsiasi sostanza (cibo, bevande, tabacco) e dai rapporti sessuali;
  • Può essere interrotto per giusta causa (malattie, viaggi all’estero, ecc.): in tal caso i giorni persi vanno recuperati.

Nei trattati sul digiuno ci si dilunga sia nel tratteggiare una serie di gesti minori e pratiche religiose da seguire sia nella compilazione dei casi di esenzione sia infine nella elencazione delle pene da irrogare in caso di violazione delle regole del digiuno. Durante questo mese sacro in ogni caso si crea un clima favorevole a una maggiore e più intensa vita religiosa delle persone. L’afflusso alle moschee aumenta e la partecipazione alla preghiera sia del mezzodì che del pomeriggio aumenta, dal momento che le attività lavorative durante il giorno tendono a essere rallentate. Così come prende forma una ritualità domestica che in tempi normali non si riscontra e una forma specialissima di “ritiro” (i’tifak) che dura dieci giorni e che impegna i fedeli più pii a trascorrere dieci giorni e dieci notti nella moschea o nei pressi di un luogo santo, meditando e pregando.

 

Haji (Pellegrinaggio)

Costituisce un momento importante della vita di ogni credente e una fonte di ispirazione religiosa dell’immaginario collettivo. Il pellegrinaggio, come il viaggio spirituale, appartiene a molte grandi religioni e anche prima dell’avvento dell’Islam esistevano forme di devozione popolare simili in Arabia Saudita e nel Vicino Oriente. In altre parole, l’Islam raccoglie e rielabora tipi di pellegrinaggi preesistenti, arricchendoli di nuovi simboli, ricavati dal messaggio di Muhammad. Quest’ultimo, infatti, compì il suo ultimo pellegrinaggio alla Mecca poco prima di morire. Il pellegrinaggio perciò è entrato a giusto titolo fra i pilastri della fede musulmana, dunque come obbligo che ogni credente deve cercare di assolvere almeno una volta nella propria vita. Accanto a questa forma, che potremmo chiamare del grande “viaggio”, esiste il cosiddetto piccolo pellegrinaggio (‘umra) che i devoti possono compiere quando vogliono e che non implica tutti i passaggi rituali previsti per il primo tipo: lo hajj. Parallelamente a questi due tipi canonici esistono anche altre tipologie di pellegrinaggio, che comprendono dal culto sciita delle tombe dei dodici imam ( tra le quali quelle situate a Karbala in Iraq dove è sepolto Huseyn e a Najaf, sempre in Iraq, dove si venera la tomba di ‘Ali, e ancora a Mashhad in Iran dove sono conservati i resti dell’ottavo imam e del califfo ‘abbaside Harun al-Rashid) alle innumerevoli peregrinazioni verso sedi che conservano le tombe dei “santi”, i marabutti, sparse un po’ dappertutto dall’India all’Africa. Dunque anche nell’Islam accanto a quello che potremmo definire il pellegrinaggio istituzionalizzato esistono forme più libere di manifestare da parte dei credenti la volontà di compiere un “viaggio spirituale” alla ricerca di benefici per il corpo e per l’anima. La radice verbale della parola coranica hajj attesta proprio l’idea del “dirigersi verso” un luogo ritenuto per eccellenza teofanico, dove cioè si manifesta la potenza divina, che implica uno sforzo, il sottoporsi a una prova fisica (lo spostarsi, l’affrontare il disagio di un viaggio lungo e faticoso e così via) e allo stesso tempo a una prova interiore la purificazione di sé e il tuffo in un’esperienza religiosa intensa, di soglia, di passaggio da una condizione a un’altra dello spirito, che se ne ritrae alla fine rinfrancato). Da un punto di vista sociologico il fatto che l’Islam abbia definito in modo istituzionale un unico luogo sacro – Mecca e il santuario della Pietra Nera – come meta di pellegrinaggio, lasciando poi libertà ai gruppi e ai movimenti religiosi locali di scegliersi altri luoghi, è significativo: il pellegrinaggio alla Mecca celebra l’unità della comunità dei credenti, della umma, dunque visibilmente è un luogo di affermazione dell’identità collettiva dei musulmani.

 

La religione di Muhammad conosce un altro tipo di pluralismo: la differenziazione del messaggio religioso, a seconda delle diverse realtà socio-culturali che l’Islam conquista nel suo percorso espansivo dalla penisola arabica a vaste, varie, aree del pianeta. La religione islamica si è adattata ai diversi ambienti socio-culturali dove si è diffusa: a volte è riuscita dominare, a volte invece ha assorbito tratti specifici di questa o di quella cultura distante dal ceppo arabo. La penisola arabica è stata la culla dell’Islam, ma poi l’ Islam è diventato una grande religione mondiale, come amava dire Max Weber. Si intende, per sommi capi, di descrivere i tratti socioreligiosi delle società umane, sparse nei cinque continenti, dove l’Islam riveste un ruolo significativo. La maggior concentrazione dei credenti in Allah si trova in Asia. Ormai l’Islam è diffuso in quasi tutti i paesi del mondo. E in alcuni solo di recente, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è tornato alla luce dopo lunghi anni di clandestinità cui era stato condannato dal regime comunista nei paesi asiatici come il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Tagikistan o il Kirghistan. La distribuzione nel pianeta dell’Islam riflette una diversificata forma d’inserimento sociale della religione di Muhammad, in società così diverse tra loro. Del resto l’Islam, già nella sua età d’oro, è stato una religione cosmopolita e plurietnica. Sull’originario ceppo arabo si sono innestati almeno altri due importanti apporti cultuali, linguistici e sociali: il mondo iraniano prima, e il mondo turco poi. La lingua sacra del Corano, l’arabo, ha dovuto essere adattata alle esigenze di due lingue con radici diverse dall’arabo. L’iraniano e il turco non sono lingue semitiche. La prima è una lingua indoeuropea, la seconda appartiene al ceppo uralo-altaico.

Nel prossimo post, ancora di carattere intorduttivo, entreremo nello specifico delle diverse espressioni geografiche dell’Islam: in Asia, Africa ed Occidente.