A proposito di Focolari

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Silvio Daneo e Roberto Catalano sono due figure importanti del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, a Trento, nel 1944. Ho avuto il privilegio, il 24 maggio, di cenare nel loro focolare di Albano Laziale, chiacchierando soprattutto di religione e di Asia (dove entrambi hanno vissuto a lungo).

Di seguito una breve intervista che abbiamo realizzato dopo cena, per approfondire quanto avevo letto nel sito focolari.org.

L’interesse di Vivereraltrimenti per questo movimento si lega, in particolar modo, alla sua vocazione comunitaria (non molto dopo avrei difatti visitato la più importante cittadella dei focolari: Loppiano) e al suo profondo impegno sul fronte del dialogo interreligioso.

Buona lettura!

 

«Padre, che tutti siano una cosa sola» (Gv 17, 11).

 

Potete cortesemente presentarvi, in poche parole?

Io sono Silvio Daneo, nato e cresciuto a Torino. Entro nel Movimento dei Focolari a diciannove anni. Era il 1960 quando mi sono trasferito nel focolare di Bolzano. Dopo un anno e poco più mi hanno chiesto di andare a New York, a lavorare nel primo centro del movimento negli Stati Uniti. Ho passato quattro anni li, poi mi hanno chiesto di accompagnare due fra  i primissimi compagni di Chiara Lubich, Guido Mirti e Giovanna Vernuccio che, con altre due focolarine, andavamo a fondare il Movimento in Asia.  Eravamo cinque, tre focolarine e due focolarini. Parliamo di circa cinquant’anni fa. Ho passato venticinque anni in Asia, tra: India, Thailandia, Filippine e Cina ma poi anche da quando sono rientrato in pianta stabile in Italia sono costantemente andato in paesi asiatici per diversi motivi. Ora qui mi occupo prevalentemente di dialogo interreligioso anche perché vent’anni fa Chiara mi chiese di entrare in modo ufficiale in Religions for Peace che riteneva essere un’ottima organizzazione.

Io sono Roberto Catalano, a mia volta di Torino. Sono entrato in comunità a Loppiano e, dopo due anni di formazione, sono andato in India per un periodo che doveva essere di sei mesi ma poi sono rimasto ventott’anni. Sono partito con Silvio poi lui, dopo quattro anni, è tornato in Italia e io sono rimasto in India per altri ventiquattro. Mi sono occupato, negli ultimi anni, di dialogo hindu-cristiano e, dal 2008, vivo in provincia di Roma, nello stesso focolare di Silvio, occupandomi di dialogo interreligioso. Insegno anche all’Università Sophia di Loppiano e mi occupo di consulenze giornalistiche.

 

 

 

Possiamo iniziare con una sintetica introduzione generale al Movimento dei Focolari?

Roberto: Il Movimento dei Focolari è uno di quelli che vengono definiti, all’interno della Chiesa Cattolica: i nuovi movimenti e comunità ecclesiali. Nasce negli anni quaranta per iniziativa di Chiara Lubich e alcune sue amiche. Insieme hanno cominciato a vivere il Vangelo durante la guerra in modo quotidiano, con particolare attenzione a tutto ciò che aveva a che fare con l’amore e la carità con una protensione all’unità e alla comunione. Da questa prima esperienza è nata una comunità molto vasta nella città di Trento, fatta da persone del tutto normali: casalinghe, pensionati, studenti, sacerdoti, seminaristi, professionisti e, al termine della guerra, si è diffusa fuori del trentino. Già durante la guerra Chiara e le sue amiche avevano iniziato a vivere in comunità, dando vita a un’esperienza originale. Non erano suore, non erano sposate, non erano nemmeno integrate in ordini religiosi pur minori, avevano un lavoro e vivevano in un comune appartamento. Il contagio è stato rapido e si sono formati, in breve tempo, molti altri focolari (piccoli nuclei comunitari come il primo creato da Chiara a Trento) e il movimento si è diffuso, in pochi decenni, nel mondo interno. Il movimento, nato in ambito cattolico, ha avuto una buona diffusione anche presso le chiese della riforma e le chiese ortodosse. Negli ultimi decenni del secolo scorso si è diffuso anche presso persone di altre religioni, a partire dai buddhisti giapponesi e thailandesi, musulmani in Algeria, sikhsbahai e altri. Si è diffuso anche presso persone che non hanno una specifica appartenenza religiosa ma ne condividono i valori di un umanesimo trasversale,  appetibili a uomini e donne di buona volontà.

Silvio: Alla base di tutto c’è questa “spiritualità”, diventata molto precisa in alcuni punti: nel nostro movimento è tutto  comunitario, fortemente orientato all’unità. Il comandamento di Gesù: amatevi vicendevolmente come io ho amato voi è fondamentale per noi. Non avrebbe, difatti, senso lo sviluppo che ha avuto il movimento se non ci fosse alla base uno stile di vita profondamente evangelico che noi ormai chiamiamo spiritualità. Incontri, congressi e simposi che facciamo servono proprio a capire come vivere questa spiritualità in tutti i contesti che ci riguardano. È questa spiritualità che attrae persone di religioni diverse o anche non religiose, colpite soprattutto dal nostro stile di vita, più che dalle opere sociali che pure ci sono o incontri specializzati su alcuni argomenti. Parliamo dunque della spiritualità che ha dato vita al movimento, fermo restando che Chiara non voleva fondare un movimento. In principio le circostanze belliche in cui si è trovata a vivere le hanno fatto riscoprire completamente il Vangelo, sottolineando aspetti specifici come l’amore scambievole. Se non ci fosse questa spiritualità noi saremmo, come direbbe Papa Francesco, una ONLUS. Chiara ci ha sempre detto: guai se perdiamo di vista l’ideale…

 

 

 

Guardano il sito focolari.org, ho visto il titolo di un video: io credo nel noi. Possiamo parlare del ruolo del valore della noità nel Movimento dei Focolari e del concetto di spiritualità comunitaria?

Roberto: Come si diceva c’è un forte accento su tutto ciò che ha a che fare con l’amore. Il movimento ha sempre una dimensione plurale, comunitaria, mai individuale e tantomeno individualistica anche se ciascuno mantiene le proprie peculiarità. Il movimento ha un presidente ─ che per statuto è sempre donna ─ e che lavora in sinergia con un co-presidente ─ che per statuto deve essere sempre un sacerdote ─.

Quando noi parliamo della dirigenza del movimento parliamo di entrambi. Infatti negli ultimi tempi, dopo la morte di Chiara, i viaggi della Presidenza li fanno insieme. Al centro del movimento ci sono due organi che lo governano: il Centro dell’opera e il Consiglio generale che sono organi comunitari. Tutto quello che avviene è comunitario. Ad esempio, io insegno nell’Università Sophia e il corso è tenuto da 3 professori. Dobbiamo tuttavia parlare di un noi che non elimina l’io. Non si può essere parte di questo noi se non si è se stessi.

Silvio: Chiara ha sondato il Vangelo parola per parola e ciascuna parola era sufficiente per ispirare un’intera vita. Lei ricordava quel che diceva Gesù, ad esempio: quel che farete al più piccolo dei miei fratelli è come se l’aveste fatto a me. Dunque riuscire ad amare Gesù nel prossimo o la presenza di Gesù nella comunità, ad esempio considerando la frase: dove due o più sono riuniti nel mio nome, sono io in mezzo a loro. La nostra è dunque “forzatamente” una spiritualità comunitaria. Bisogna essere almeno in due per godere della compagnia di Gesù in mezzo a noi. Anche il detto: Padre che tutti siano una cosa sola, come io e te non può non essere ultracomunitario. La nostra è dunque, necessariamente una spiritualità comunitaria o, meglio, di comunione. La stessa espressione economia di comunione si lega a questa spiritualità comunitaria in cui, ad esempio, un imprenditore, che deve sapersi muovere nel mondo degli affari, fa legittimamente un profitto che poi però mette in comune. Dunque il desiderio di portare l’unità tra tutti i cristiani ─ e anche tra i membri di altre religioni ─ si muove proprio lungo le coordinate di una spiritualità di comunione. Abbiamo scoperto quante cose, in realtà, ci uniscono a membri di altre religioni, nella dimensione della spiritualità di comunione che tuttavia non esclude, è bene ripeterlo, la spiritualità individuale, altrimenti cosa metto in comune? Per noi l’individuo è fondamentale perché è da lui che parte la spinta verso l’altro, verso appunto una spiritualità di comunione che è anche in linea con i tempi, con quanto affermato nel Concilio Vaticano Secondo e nelle successive encicliche papali. Quello che poi ci ha meravigliato tantissimo è che tanti movimenti non cristiani, in giro per il mondo, propongono esperienze molto simili alla nostra. Questo ci fa pensare che lo Spirito Santo “soffia davvero dove vuole” e il fatto che il nostro movimento abbia avuto un tale successo e sia diventato così ecumenico per noi non può non rappresentare una conferma che siamo in linea con il messaggio più profondo del Vangelo.

 

 

 

Come si organizza, in pratica, la vita comunitaria nell’ambito del movimento?

Roberto: Dipende, nei focolari si vive una vita comunitaria dove si mettono in comune gli stipendi, un po’ come in una famiglia però la dimensione comunitaria, come diceva Silvio, è comune a tutto il movimento in modi diversi. I giovani, settimanalmente o mensilmente, si incontrano tra di loro, le famiglie lo stesso, diverse sezioni del movimento vivono la vita comunitaria come possono dove possono e quando possono.

Ci sono dei sacerdoti che vivono ciascuno nella propria parrocchia, periodicamente si incontrano e condividono le proprie esperienze di vita pastorale.

Ci sono poi festival dei giovani, dei teenagers, festival di famiglie. Ci sono molti modi di vivere la vita comunitaria a seconda  dei contesti sociali e dei tipi di vocazione che si vivano all’interno del movimento.

 

 

 

Che genere di rapporti avete (se ne avete) con altre realtà comunitarie? In ambito cattolico penso immediatamente a Nomadelfia e MCF.

Roberto: A livello interreligioso ma anche a livello ecumenico abbiamo diversi rapporti. Ad esempio, in Germania c’è una cittadella, come Loppiano in Italia, Ottmaring che è nata dalla decisione di due diverse comunità di fondarla: quella dei focolari e una comunità evangelica dove i focolari vivono da focolari e gli evangelici da evangelici.

Silvio: Si chiama Bruderschaft.

Roberto: Poi nel dialogo interreligioso Chiara Lubich è venuta in contatto con personalità emblematiche uno è stato il fondatore della  Rissho Kosei-Kai  un altro l’imam degli afroamericani negli USA un altro il fondatore dello Shanti Ashram, a Coimbatore in India, per fare appena due esempi. Costoro hanno fondato movimenti o comunità che hanno un loro stile di vita e l’incontro con il movimento ha fatto apprezzare delle comunanze che ci sono, ferme restando alcune diversità profonde che non possono non esserci. Le comunanze riguardano la dimensione comunitaria. Ad esempio, nel Movimento dei Focolari noi abbiamo una pratica che si chiama “Parola di vita”. Ogni mese si prende una frase dal Vangelo e si cerca di viverla e poi ci si incontra tra giovani, i sacerdoti o persone, comunque, parte della comunità per raccontarsi come si è cercato, concretamente, di viverla. All’interno della Rissho Kosei-Kai  c’è una pratica simile che si chiama Hoza dove a gruppetti si incontrano e cercano di affrontare insieme problemi che sorgono nell’ambito del lavoro o nella stessa vita comunitaria. Quando Chiara incontrò la Rissho Kosei-Kai  rimase stupita da questa somiglianza e pensò che la stessa somiglianza potesse esserci con altri movimenti e che Dio ce li avrebbe fatti incontrare e in effetti ne abbiamo incontrati diversi, anche nell’ambito della stessa chiesa cattolica.  Ad esempio sono stato recentemente invitato dalla Comunità Jesus Youth ad una festa per l’avvenuta approvazione di un movimento cattolico, sorto in India, con una forte ispirazione comunitaria con cui abbiamo lungamente collaborato e gli esempi si potrebbero moltiplicare. Dunque,  pur nella specificità di ognuno, c’è una buona comunione inter-movimentista.

Silvio: Presto faremo una grande manifestazione: Insieme per l’Europa dove ci saranno tanti movimenti cattolici e protestanti che si incontreranno per lavorare assieme per dare un’anima all’Europa, fermo restando che ognuno mantiene la propria peculiarità.

 

 

Quanto incide nella creazione delle vostre esperienze comunitarie il valore dell’ecosostenibilità?

Roberto: Nelle nostre cittadelle ci si sta molto attenti. La zona del Valdarno dove sta Loppiano era depressa e l’abbiamo rivitalizzata e arricchita con coltivazioni biologiche di vario genere e ci sono nostri membri che sono impegnati in ambito ecologico a livello professionale quando non scientifico.

Potremmo anche menzionare organizzazioni interreligiose di carattere ecologico.

Silvio: Ultimamente a Roma abbiamo organizzato un incontro di Mariapoli, nel cuore della città, in collaborazione con Earth Day. È andato addirittura il Papa e anche nella stampa venne in luce proprio l’approccio ecologico dell’iniziativa anche in ottemperanza con l’enciclica Laudato Si’.

Non va trascurato che noi abbiamo sempre cercato di condurre una vita ─ pur organizzata e prospera ─ sobria, non consumista.

 

 

 

Possiamo spendere due parole sulla realtà di Loppiano?

Roberto: Loppiano è la prima delle cittadelle del movimento. Oggi ce ne sono in tutti i continenti. È nata da un’intuizione di Chiara Lubich sulla scorta degli incontri estivi chiamati Mariapoli. Si faceva strada l’esigenza in molti che questi incontri non si limitassero al periodo estivo, dunque aprimmo un primo centro di formazione alla spiritualità del movimento, nel Valdarno che poi si è sviluppato in una cittadella che oggi ha poco meno di  mille persone. L’idea è di vivere come una piccola città trasformata dalla vita evangelica. Mostrare dunque come può essere realizzata una convivenza tra esseri umani se si decidesse di vivere a fondo il Vangelo. Tutti lavorano, ci sono piccole aziende ─ che hanno anche recentemente sofferto la crisi generale che abbiamo attraversato ─ a gestione comunitaria. Proprio in questo periodo si sta studiando cosa significa gestire in maniera comunitaria la cittadella di Loppiano oggi, a 51 anni dalla fondazione. In Asia c’è una cittadella simile, vicino a Manila, dove si sta studiando come gestire una cittadella del movimento in modo scientifico ma sempre ispirandosi ai valori evangelici. In Argentina c’è una cittadella che ha  una colorazione più giovanile, in Brasile una più focalizzata su aspetti sociali. Ogni cittadella esprime un suo specifico impegno. Ce ne è una in Belgio che ha una forte colorazione ecologica. Molto piccola ma molto attenta a questo aspetto.

Silvio: Sono importantissime queste cittadelle e, soprattutto, sono al passo con i tempi. Non sono monasteri o un’imitazione moderna della vita monastica ma “un bozzetto di società”, diceva Chiara, che può testimoniare come potrebbe essere una grande città se tutti vivessero profondamente lo spirito evangelico. A Loppiano ci sono circa 40 nazionalità che creano un’atmosfera palpabile di fratellanza e comunione. È un aspetto del movimento molto importante questo delle cittadelle.

 

 

 

Potete farmi altri esempi di realtà religiose con cui state proficuamente collaborando? Ancora dal sito focolari.org emerge che, cito: “Una scuola permanente per il dialogo interreligioso ha sede nella cittadella di Tagaytay (Manila Filippine), centro d’incontro per l’irradiazione della spiritualità per l’Asia”.

 

Roberto: Intanto ti possiamo segnalare i nostri libri:

Roberto Catalano, Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso; l’esperienza di Chiara Lubichh e del Movimento dei Focolari, Città Nuova, Roma, 2010:

Silvio Daneo, Impensate vie; evoluzione e sviluppo del dialogo ecumenico e interreligioso nella Chiesa cattolica, Hever Edizioni, Ivrea (To), 2014.

 

Il discorso sarebbe molto lungo. Il dialogo interreligioso del movimento è nato da una profezia non da un progetto. Chiara ha avuto l’intuizione in Africa, nella metà degli anni Sessanta, che il movimento si sarebbe radicato anche presso persone di fede non cristiana. Sorprendentemente nel ‘77 le è stato dato il Premio Templeton per il progresso delle religioni e quando ha fatto il discorso di accettazione i primi che l’hanno congratulata non sono stati i cattolici ma persone di altre fede e lei ha capito che il movimento doveva in qualche modo impegnarsi anche con loro. Alcuni anni dopo, quando noi saremmo partiti per l’India ci disse: ricordatevi che dovunque vedete un tempio o una moschea, quello è il vostro posto. Mentre Chiara portava avanti questo discorso carismatico, un gruppo di focolarini aveva rilevato un vecchio monastero in Algeria e, dopo qualche anno, si era deciso che la comunità si ritirasse e tornasse a Roma. Tuttavia, uno dei focolarini, un francese, insegnava in questa città e aveva un gruppo di studenti musulmani che gli erano molto affezionati e lo andavano spesso a trovare a casa. Il padre di uno di loro era un Imam e, nel corso del tempo, è nata un’amicizia e un dialogo e oggi il Movimento dei Focolari in Algeria, a parte i due Focolari consacrati, è fatto tutto da musulmani che si ritengono membri a pieno titolo. A ottobre si celebreranno i 50 anni della permanenza del movimento in Algeria e i musulmani stessi organizzeranno un incontro con 150 correligionari di diverse parti del mondo che vivono lo spirito del focolare. Parallelamente, si è sviluppato un rapporto con i buddhisti con gli hindu dove il movimento presenta la propria spiritualità e le proprie caratteristiche, senza fare sconti ma con un grande rispetto per le religioni altrui. Se i cristiani parlano di amore, i musulmani parlano di misericordia, i buddhisti di compassione, gli hindu di Bhakti. Trovano nelle loro categorie e tradizioni una terminologia per esprime valori comuni. Dunque si è iniziato un cammino molto diversificato. Va dal dialogo della vita quotidiano a progetti di cooperazione comuni, come stiamo facendo con lo Shanti Ashram. C’è anche un dialogo accademico, nato dal primo viaggio di Chiara in India nel 2001, dove iniziò un confronto teologico con importanti esponenti dell’Induismo.

Un incontro degno di nota è quello con un professore sciita di Qom, città santa dell’Iran. Lui venne qui diverse volte anche con studenti e studentesse. Hanno fatto la preghiera del mezzogiorno dal terrazzo di casa nostra rivolti verso Mecca, tre anni fa siamo stati noi a Qom, l’anno scorso sei studentesse iraniane hanno passato un mese a Loppiano approfondendo la spiritualità come musulmane sciite, in luglio questo professore con la moglie e tre studentesse vorrebbe venire alla nostra università per approfondire la prospettiva del Dio uno nell’Islam e quella dell’unità in Chiara Lubich. Per fare questo, però, è necessario che le persone siano formate al dialogo e noi abbiamo la scuola permanente a Tagatay specializzata proprio su questo, specifico, aspetto.