La via del cuore, dell’amore: il Sufismo

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La via del cuore, dell’amore: il Sufismo

Di seguito, un bel contributo dell’amico Maurizio Luzi, grande studioso di religioni comparate e membro della Confraternita Sufi Burhaniyya da circa 30 anni.

Buona lettura!

 

Gli uomini durante la vita dormono, quando muoiono si svegliano[1]

…Quelle poche persone che invece hanno compreso la fondatezza e l’importanza della Via Spirituale si sono destate non solo in questa vita terrena, ma contemporaneamente hanno anche iniziato un’altra nuova vita che, intanto seppure “virtualmente”, non avrà più fine.

Pertanto: Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti.[2]

Tuttavia, siccome La certezza comincia dalla morte”, ecco anche perché comunque: bisogna morire prima di morire,[3] che è il vero e profondo significato dell’INIZIAZIONE (autentica, effettiva).[4]

È questa l’essenza e la portata del Sufismo (Taşawūf in arabo).

Coloro che intraprendono il Viaggio [= Sulūk, Sayr], il cammino sul sentiero [= Tarīqah] spirituale, potranno conseguire una Duplice Vittoria:

― la PACE nell’esistenza mondana;

― la BEATITUDINE nell’Altra vita.

L’adagio ellenistico (che viene attribuito all’Imperatore Augusto) “Festina Lente[5] non è molto lontano dal noto ħadīth: “Agite per questo mondo come se doveste vivere mille anni, e per l’Altro come se doveste morire domani”;[6] e neppure dal significato esoterico della celebre massima “Carpe diem”, la quale di fatto implica e sollecita a non perdere, né tantomeno a sprecare, il tempo.

Esattamente. Poiché “nessuno sa quando e in quale paese moriremo”, e siccome su questo pianeta siamo solo “di passaggio”,[7] è davvero fondamentale cogliere la grande opportunità, offerta all’Umano esclusivamente, della vita terrena. L’involucro corporeo nel quale ci troviamo, certo, può riservarci parecchi motivi d’infelicità, ma può anche diventare un prezioso “strumento di perfezione”;[8] per tante persone in effetti questo basso mondo altro non è che un penitenziario, quando non è un vero e proprio inferno: che dire allora di coloro ai quali anche il paradiso appare come una prigione?

Non rimane, dunque, altro che “partire” subito, senza indugi o ripensamenti, giacché il viaggio è lungo, costellato di ostacoli, resistenze, conflitti e difficoltà: eppure nulla potrà fermarci se siamo veramente determinati e sinceri, perché l’amore dei Maestri [= Mashaykh] e dei Santi ―che, in ultima analisi, è quello di Allah― risolverà ogni problema fino alla mèta suprema.

 

Viaggia verso l’Amato, poiché l’universo intero è in viaggio.[9]

Come è possibile però conciliare gli impegni ―talvolta perfino imposizioni ed obblighi― della vita mondana con la pratica della Tarīqah?

Est modus in rebus![10]

La prima risposta ci viene offerta da un antico aneddoto diffuso altresì nel mondo arabo-persiano.

Stavano andando a vendere al mercato di un grande villaggio il raccolto del loro campo, un padre su di un asino assieme al carico, e il suo figlioletto accanto. Appena vi furono entrati, due donne mormorarono: «Che padre insensibile e duro: lui comodo sull’asino, lascia trascinare a piedi il fanciullo spossato…». Avendo udito quelle parole, il padre allora, dopo essere sceso, aiuta il figlio a montare sul somaro. Proseguendo più avanti, un vecchio seduto accanto ad una porta rimprovera: «Giovane detestabile… se ne sta adagiato placidamente senza alcuna premura per il misero genitore affaticato!» Al che il padre decide di issarsi sull’asino assieme al figlio. Però, appena giunto all’angolo della strada principale, dalla finestra di una casa, una voce inveisce: «Aguzzini… guarda come trattano quella povera bestia, già stracarica e sfinita! Non possono andare con le loro gambe come fanno gli altri?» A questo punto entrambi smontano dalla cavalcatura, ma, poco prima di fermarsi nel piazzale, alcuni giovani ridacchiando commentarono: «Che sciocchi! Si sono stancati camminando a piedi quando avevano un asino a disposizione…».

Colui che non ha sete di verità spirituale va alla ventura, attaccando tutte le fedi e sollevando interminabili discussioni su di esse. Ma colui che invece ha quella sete non perde tempo in sottili distinzioni, tanto meno si crea una “nuova religione” per sé solo: l’uomo veramente assetato non ha molte esitazioni, prende la sua bisaccia e s’incamminaancorché l’incontro e la conoscenza di un vero Santo sia più difficile della conoscenza di Dio―.

La seconda risposta la troviamo nel concetto autentico dell’intenzione ―cardine primario della dottrina islamica, sottovalutato dagli stessi musulmani―, in quanto è questa che conta realmente nelle nostre azioni, e che dipende unicamente da noi: tutto ciò che avverrà in seguito non solo non possiamo saperlo con certezza perché il futuro ci sfugge e assolutamente non è nelle nostre mani, ma pure non possiamo mai gestirlo completamente a causa dell’interazione o dell’interferenza degli altri.

Cosicché, similmente alla provata sequenza nell’ascetica dell’Induismo e del Buddhismo: Rinuncia ► Distacco ► Indifferenza ► Imperturbabilità, dobbiamo gradualmente imparare ad Agire Impersonalmente (come “per procura”); obliare se stessi così bene da considerarsi come una “cosa venduta”, consegnata, senza più diritti su di essa,[11] totalmente disinteressati ai risultati ed alle conseguenze  del nostro operato ―onesto, s’intende―, che in ogni caso, belle o brutte, avverranno.

La terza risposta, infine, scaturisce direttamente dall’interno della Tarīqah. Colui che non ha adab [correttezza, “buone maniere”, umiltà] non ha neppure tarbīya [educazione], e colui che non ha educazione non compie alcun sayr, ossia non arriverà da nessuna parte, né si troverà a destreggiarsi serenamente ed idoneamente nel vivere quotidiano. Infatti, è necessario applicare regolarmente, con serietà e senza troppe riserve, gli insegnamenti, i consigli, le istruzioni, e finanche i supporti che ci verranno affidati o semplicemente offerti.

Una volta ri-generati sul mondo spirituale, occorrerà alimentarsi continuamente per crescere e diventare “adulti”: il cibo spirituale sostanzialmente è il dhikr,[12] con il quale si intende un insieme di riti (impropriamente denominati “preghiere”), gli awrād (plurale di wird), specifici e complementari, insegnati dallo Shaykh (= Maestro) o da un Murshid (= direttore) in sua assenza.[13] Sono proprio questi, che ―ricollegandoci alla precedente seconda risposta―, inseriti accortamente e discretamente nel tessuto degli impegni giornalieri, ci liberano dalle ansie,[14] permettono alla nostra pianta spirituale di crescere, espandono impercettibilmente la nostra mente, leniscono i nostri affanni, riempiono il “vuoto” dell’esistenza, ci avvicinano ai Maestri, introducono il vero amore nel cuore, moltiplicando la barakah (= benedizione) e il madad (= virtù o dote trascendente), ed alla fine ci aiutano a vivere meglio.[15]

E tale è l’anticamera per “l’abbandono della propria volontà” (del nostro fallace Ego): sottomissione consapevole e soddisfazione nei riguardi dei decreti divini [taslīm e ridā], quali che essi siano.

 

Prima di riassumere la specificità del Sufismo, un brevissimo racconto dell’India del nord, che ci riconduce all’inizio di questa stringata dissertazione.

Un uomo da una contrada lontana era andato in città per assistere ad uno spettacolo importante. Giunse sul posto con un po’ di anticipo e lo spettacolo non era ancora incominciato. Allora stese la coperta, e, dopo aver consumato un pasto frugale, si addormentò. Quando si svegliò lo spettacolo era terminato. Allora non gli rimase che arrotolare la coperta e andarsene…  

Molti della nostra cultura occidentale non conoscono il Sufismo, anche se le sue radici sono antichissime: risalgono, infatti, al Profeta Muħammad (m. 632 d.C.), “su di lui la benedizione e la pace”,[16] fondatore dell’Islam.

Il Sufismo [“Taşawwūf” in arabo] è la Via Iniziatica che continua la Tradizione spirituale dei grandi Santi e Maestri musulmani ―qualcuno vissuto anche in Spagna ed in Sicilia (alla corte di Federico II)― e che propone, a chi lo desidera, la ricerca delle realtà ultime del Creato, la scoperta del vero significato della nostra vita, la “realizzazione” metafisica dell’essere umano. Si tratta in pratica di quello che altre Tradizioni hanno rappresentato, per esempio, come l’Odissea (il percorso spirituale di Ulisse), la conquista del vello d’oro (da parte degli Argonauti e dell’eroe [= realizzato] Giasone), le Dodici fatiche (numero del Cosmo, il cui limite è definito dalle 12 costellazioni zodiacali) di Ercole, il pellegrinaggio a Santiago di Compostela, la Cerca del Santo Graal, la produzione della Pietra Filosofale, e tanti altri racconti o illustrazioni simboliche dello stesso genere.

Si è cominciato a parlare dei Şūfī intorno all’VIII° e al IX° sec. d.C.

Dal X° al XIII° sec. la Civiltà araba ebbe una forte espansione che dal bacino del Mediterraneo e dalla Turchia, attraverso l’Iran e l’India, giunse fino in Cina.

Nel periodo delle Crociate addirittura i Templari, che durante i periodi di tregua ― a volte molto lunghi― avevano scambi e relazioni con i loro avversari islamici, cercarono di ottenere i miracolosi “awrād”, ovvero le preghiere dei Sufi (costituite per lo più da un’elaborazione sapiente e profonda di versetti del Qorano).

Il nostro Dante stesso conobbe il “Libro della Scala”, racconto del Viaggio iniziatico-spirituale del Profeta Muħammad [şAs] fino ad Allah, che, come si dice nell’ambiente culturale più avanzato, è stato quasi certamente fonte d’ispirazione alla Divina Commedia.

Il medesimo Qorano era stato tradotto in Latino, studiato dai Cristiani: ancora una trentina di anni fa il cattolico don F. Peirone ne ha fornito una traduzione italiana.

Dalla seconda metà del 1.200, per tutto un secolo, fiorirono i grandi “Poli” del Sufismo che fondarono ufficialmente le Turūq (singolare Tarīqah, sentiero [la “via stretta” dei Vangeli], cammino interiore, verso la “ħaqīqah”, la Verità), le confraternite di iniziati dediti alla via spirituale, alcune delle quali, attraverso le loro ramificazioni, sono giunte precisamente fino ai nostri giorni.

Orbene, ci sono parecchie persone che si accostano alle varie conferenze ed incontri spinti dai più disparati motivi. Spesso è solo curiosità o “vagabondaggio” fra le ormai numerosissime associazioni “esoteriche” sorte un po’ dovunque, alla ricerca di percorsi alternativi alla Religione; altre volte è proprio per confrontare tra di loro le “risposte” che offrono queste nuove pseudoreligioni, e “scegliere” (o perfino “rinsaldare”) quella che meglio si adatta alla propria mentalità; in alcuni casi poi c’è un intento puramente mondano, quando cioè si desidera “risolvere un problema” della vita terrena (salute, famiglia, lavoro, ecc.), ricorrendo al “santone di turno”, confondendo il piano spirituale con quello materiale; senza contare infine tutti coloro che presumono, o pretendono, che la vera spiritualità sia qualcosa alla portata di chiunque, magari imbevuti di sincretismo (= commistione di elementi dottrinali di provenienza fra le più diverse) considerandola come un’“attività” autogestibile, nella quale si può, democraticamente, intervenire a piacimento, decidere arbitrariamente, “giudicare” autonomamente.

Purtroppo il problema di gran lunga più grave della nostra epoca è infatti e davvero la profonda ignoranza in materia di Religione e di Spiritualità, sia perché tutte le autentiche Religioni nel mondo sono in decadenza, sia perché in particolare in Occidente è stato distrutto il sacro, demolita la Metafisica (la Dottrina universale), cancellato il vero esoterismo (= interiorità). Per cui si sono sostituite ad essi una congerie di Pseudoreligioni, di correnti sincretistiche, le più strane e talvolta inquietanti forme  di occultismo, causando pertanto come risultato un generale ed esteso stato di confusione pressoché inestricabile.

Ma il Sufismo non ha nulla a che vedere con tutta questa impressionante (e disgraziatamente deleteria) profusione di associazioni “esoteriche”, pratiche occultistiche, culti stravaganti, pseudoiniziazioni, percorsi “spirituali”, tecniche di “realizzazione” — con relativi annessi e connessi di libri, riviste, siti Internet, club, emblemi, immagini, fotografie —, causata appunto dalla profonda barbarie in materia di Religione e di Spiritualità. Nella immensa incompetenza cui è pervenuta la Civiltà Occidentale, oggi mancano completamente i punti o le persone di riferimento per distinguere il Vero dal falso, cioè i “criteri di discriminazione” in base ai quali poter capire qual’è e perché una dottrina — e la corrispondente pratica rituale — è autentica, fondata. La negazione della Metafisica (ed anche la “critica” della Teologia), la distruzione del sacro, ha condotto la Scienza moderna verso l’unica ristrettissima strada del materialismo, ovvero la sola dimensione sensibile, corporea, dell’essere umano.

Per giunta, ciò che ulteriormente scoraggia tante persone è la reiterata parodia dell’Islam ― quasi interamente stravolto ― che da oltre vent’anni imperversa nei MEDIA occidentali (in particolare in Italia), e che peraltro genera presso i veri musulmani diversi sentimenti di risentimento, sdegno ed amarezza.

Il Sufismo infatti non è una corrente filosofica, né tanto meno una setta eretica propagatasi ai margini dell’Islam: è il cuore dell’Islam, anzi, è la Via del Cuore, la “via d’amore” aperta a tutti coloro che profondamente amano la Verità, il Giusto, il Bello, l’Assoluto; è la Sophia Perennis, ovvero quella Dottrina (e Pratica) Universale che, sotto altre “vesti”, è stata a più riprese espressa dalle Grandi Tradizioni Spirituali nel corso della Storia dell’Umanità. Il suo scopo ultimo è la realizzazione spirituale dell’essere umano, che ― come già detto ― si consegue fondamentalmente con il dhikr.

Tale “tecnica operativa” non è una caratteristica esclusiva del Sufismo, poiché la si ritrova anche in altre Tradizioni Spirituali, come per esempio l’Esicasmo o lo Yoga (il “mantra”), però è particolarmente raccomandata e perseguita a motivo delle sua semplicità e della sua adattabilità.

Ora, l’aspetto più sorprendente del Sufismo è proprio questo: esso taglia corto con il “mentale”, e si proietta immediatamente nella dimensione spirituale. Non c’è una meditazione, né una eccessiva attenzione al mondo psichico, ma subito si concentra sul risveglio della nostra natura teomorfa. In effetti, perché attendere tanti anni nel “controllo” della mente e delle passioni, e successivamente addentrarsi nel mondo spirituale? Se esiste un metodo che consente al nostro spirito il “viaggio” immediatamente, e, nello stesso tempo, consente pure di “trascinare” con sé l’anima e il corpo con tutti i loro vizi e difetti ― rinviando e lavorando alla loro purificazione e rimozione durante il viaggio stesso ―, perché non adottarlo, e scegliere altri “percorsi” difficili, strani, problematici, persino ambigui, insicuri? La discontinuità nei riti infatti rallenta il viaggio, e procura disfunzioni, incertezze, ritardi, contraccolpi, ed è particolarmente rischiosa proprio nei momenti di difficoltà, di turbamento, di sofferenza e di dolore, proprio durante i quali invece dobbiamo raddoppiare gli sforzi. D’altra parte: a che serve una bella automobile quando, non avendo “benzina”, deve restare chiusa in garage?

 

La Realizzazione Metafisica non è la realizzazione mentale:

il cervello infatti è solo la sede della “ragione” e della conoscenza “scientifica” o filosofica; per andare “oltre” e per accedere alla Conoscenza Spirituale è necessario rivolgersi al Cuore, “aprire il cuore”, e ciò è possibile unicamente con un’autentica “tecnica” spirituale sperimentata e permessa da un’Autorità Tradizionale. D’altronde, mentre la ragione è “duplice”, doppia, dal momento che può essere di grande aiuto ma può essere anche d’ostacolo ―accanto alla “convinzione” esiste pure il “dubbio”―, ed altresì i sentimenti possono essere “positivi” o “negativi”, l’intelletto (= Spirito) è invece “unico”, e l’intuizione spirituale è “diretta”, istantanea, certezza immediata e completa.

I Riti (o “preghiere”) della Tarīqah non sono l’elaborazione personale di un santone, di uno pseudomaestro o di un gruppo più o meno misterioso (= ipotetico o inventato), ma sono l’eredità spirituale stessa della Confraternita che, nel corso dei secoli, l’ha conservata, trasmessa e adattata a beneficio dei suoi aderenti: la loro “forza” proviene dalla loro trascendenza, dalla loro indipendenza dagli individui e dalle contingenze mondane, dalla loro struttura intrinseca connessa direttamente alle realtà celesti; essa scaturisce dalla Sofia Perenne, cioè dalla Conoscenza (= Gnosi) dei Princìpi Immutabili ed Eterni.

La Dottrina sufica del resto, e comunque, non è misteriosa: al contrario, essa si conforma sia all’ignorante, all’individuo semplice, sia alla persona colta, sapiente;  essa è inesauribile, come lo è la Conoscenza. I riti tuttavia sono segreti, perché interiori e proporzionati al livello spirituale di ciascuno. Ecco perché tuttavia chi trascura le “preghiere” è come se dormisse continuamente, come se dilapidasse uno scrigno di gemme ed oggetti preziosi per restare sempre in miseria: sono i Riti che permettono alla nostra pianta spirituale di crescere, che espandono impercettibilmente la nostra mente, leniscono i nostri affanni, riempiono il “vuoto” dell’esistenza, ci avvicinano ai Maestri, introducono il vero amore nel cuore e moltiplica la “barakah” (= benedizione) e il “madad” (= virtù).

La pratica del Sufismo non richiede doti particolari, ma solo la sincerità. Se non si è troppo condizionati da preconcetti o prevenzioni (talvolta anche inconsce), o da “ostilità” indirettamente create dalla propaganda negativa (e artefatta) dei Massmedia (= Mezzi di manipolazione di massa), chi vuole umilmente e semplicemente scoprire la Spiritualità, potrà nel Sufismo trovare tutte le risposte.

 

[1] Aforisma che risale fino al “filosofo” greco Eraclito.

Chiese un giovane ad un anziano: «Perché ho paura quando cammino di notte nel deserto?»,

«Perché vivi ancora», rispose.

[2] Affermazione del Cristo [Sayīdnā *Īsā] nel Vangelo.

[3] La vera filosofia è “ars moriendi” [= arte del morire], intesa non certo come modo per suicidarsi ―ovviamente―, ma soprattutto come metodo quotidiano per distruggere tutte le illusioni mondane, le passioni, i vizi, i feticci e le false ideologie della Società profana (se non proprio atea, cinica e perversa).

[4] Sebbene la “morte” sia simbolica esteriormente, interiormente è reale, per dar luogo alla “ri-nascita”.

[5] “Affrettati Lentamente”: potrebbe sembrare una contraddizione, se non fosse che ―come nella pratica orientale dello ZEN― i paradossi e le apparenti opposizioni servono, non solo a “sbloccare” pregiudizi e posizioni dogmatiche, ma pure ad insinuare l’abitudine a lavorare sui contrasti per comprendere verità assai complesse o arcane.

[6] Gli asceti medievali sostenevano: “Sii in questo mondo come uno straniero e un viandante”.

[7] Praticamente, volenti o nolenti, siamo tutti dei pellegrini. O forse qualcuno pensa di essere immortale (o che lo diventerà grazie a qualche sofisticata ―ma illusoria― tecnologia)? Non si tratta minimamente di “svalutare” la Vita, ma, al contrario, evidenziare al massimo il suo valore, la sua “irripetibilità”, la sua unicità.

[8] Lo “stato corporeo”, grossolano, della materia è il massimo della concentrazione dello Spirito. Per questo gli “esseri sottili” come i Demoni cercano di entrare nel nostro mondo e possedere gli umani, oltre che per  fare esperienze a loro negate (sesso, potere e piaceri sensibili vari). Ed ecco perché i sacrifici, le espiazioni, le preghiere compiute nel mondo corporeo hanno un valore enorme, addirittura sproporzionato, rispetto alla condizione incorporea o puramente psichica.

[9] Verso poetico di una qasīdah [= lirica].

[10] “C’è sempre una maniera di procedere in ogni faccenda”, anche in quelle apparentemente complicate.

[11] Lontano dai timori, riflessioni, inquietudini del nostro Ego (perfino quelli che derivano talvolta dalla cura della propria salvezza o perfezione), il “nemico principale” ―assieme a Shaytān [Satana]― nel corso della Realizzazione Spirituale; ovvero senza brama, proposito o disegno egoistico. Sebbene si abbiano dei “doveri”, come costruire una famiglia, lavorare, e addirittura compiere talvolta “azioni immorali” nella vita sociale, bisogna sempre agire nel modo migliore consentito dalle circostanze, ma senza attaccamento.

[12] Dhikr si può tradurre con “richiamo”, poiché esso significa contemporaneamente invocazione e ricordo, ma implica pure il concetto di ripetizione. Ripetizione di che cosa? Delle “formule” iniziatiche ―appunto, gli awrād ― ed anche soprattutto, del Nome Divino. Senza i riti ( le “preghiere”) non c’è Tarīqah.

Il dhikr è dunque l’insieme dei Riti (o “preghiere”) che bisogna richiamare ogni giorno:

  • ricordo d’Iddio, ma anche della nostra Realtà Spirituale;
  • invocazione d’Iddio, ma anche “amore” per Lui (e, indirettamente, per i Santi, i Maestri, e principalmente per il Profeta [şAs], che ci conducono a Lui);
  • ripetizione incessante per risvegliare il Cuore, entrare e vivere da subito nei mondi celesti.

[13] La lettura del Qorano, l’approfondimento dell’Islam, lo studio delle dottrine, indubbiamente sono assai raccomandati; tuttavia, per quanto sia grande ed estesa, l’erudizione non può in nessun modo sostituire le preghiere, né può tanto meno ignorarle. Il “potere”dei Riti è spirituale, e non c’è nessuna “energia” psichica che possa prendere il loro posto: i Riti sono il “veicolo” delle influenze spirituali, le quali soltanto possono penetrare nel cuore, dove è la sede dell’Intelletto Divino (che poi coincide con lo Spirito Santo).

[14] Qorano 13,28: Non è forse nel ricordo di Allah che si ristorano i cuori?

[15] La “massima” dei monaci Benedettini era: Ora et Labora (Prega e Lavora).

[16] É d’uso per i musulmani dire questa frase dopo aver menzionato il nome del Profeta.