Poesia, canto e danza nel Sufismo (seconda parte)

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Poesia, canto e danza nel Sufismo (seconda parte)

Clicca qui per leggere la prima parte.

Fonte: Anche in silenzio parlo, di Luiz Maio Ruiz e Lilly Di Benedetto.

 

 

A proposito dei “ritornelli”, della “poesia”, del “dhikr”, delle modalità musicali o ritmiche in generale, presenti nel Corano, esponiamo una breve

 

Introduzione alla scienza del ritmo

 

Essendo legata eminentemente alle parole e ai suoni, la “Scienza del Ritmo” ha numerose ramificazioni e si incontra o si interseca con diverse Scienze Tradizionali (quasi tutte, oggi, pressoché in via d’estinzione), soprattutto quindi con quelle che si occupano di Linguaggio, con la Musica e – di conseguenza – con la Danza, nonché infine con tutte quelle conoscenze ed Arti che hanno a che fare con i Numeri.

Si può intravedere la sua presenza anche nell’Astronomia o nell’Architettura, sebbene la sua dimensione propria sia il “tempo” (mentre lo “spazio” è piuttosto di pertinenza della Geometria e delle scienze ad essa legate o a cui fanno riferimento): di fatto, e da un certo punto di vista, la struttura di un Tempio può essere considerata una sorta di insieme di ritmi cristallizzati.

D’altra parte il calendario segna (o segnava) l’ordine di periodicità di un sistema di riti, cioè di corrispondenze con gli eventi divini. Così come le conoscenze dei ritmi erano basilari nella pratica dei mestieri tradizionali; ed ancora di più nella pratica di discipline spirituali (come, ad esempio, lo Zen e lo Yoga): poiché ogni cosa ha il suo tempo; ogni essere, ogni evento ha il suo momento favorevole o sfavorevole, la sua legge.

 

Ciò che rende inesauribile il cammino è il moto

Ciò che determina il moto è la velocità

Ciò che ordina la velocità è il ritmo

Ciò che regola il ritmo è il metodo degli intervalli.

 

Tutti i movimenti sono azione-reazione, sono duplici (composti di ying-yang); sono alternanze, onde, vibrazioni: tutti scaturiscono dall’immobilità.

Le vibrazioni inoltre producono ripercussioni  non solo nell’ambiente in cui si manifestano (la sfera fisico-corporea)  ma anche, per la Legge delle Corrispondenze, negli stati sottili vicini: e possono quindi superare il mondo formale, sino ad arrivare a quello spirituale (in modi alquanto complessi, e certo non in forma di “vibrazioni”, ma, al contrario, proprio in virtù delle “non-vibrazioni”).

Quel che importa nel divenire, nel movimento, e insomma nel ritmo, è il renderlo “armonico”, automatico, regolare: in maniera da poterlo penetrare nel suo intimo, liberarsene; e in pari tempo lasciarlo dissolvere, essendone totalmente sganciato o essendo esso esaurito.

 

Senza regola, nulla è più esatto

Senza misura, nulla è meglio combinato

Senza riflessione, nulla è più meditato

Senza sforzo, nulla è più efficace

Senza previdenza, niente si adatta meglio agli eventi.

 

L’idea base è la ricerca del “vuoto”, del “nulla”; o meglio, del non-agire, non-essere: poiché è il “non-manifesto” l’essenza del manifesto. Ed è sulla “scienza del ritmo” che si basano tutte le tecniche per entrare in comunicazione cn gli stati superiori dell’essere.

Si parla spesso, in varie tradizioni, di un linguaggio misterioso chiamato “lingua degli uccelli”: designazione evidentemente simbolica, poiché l’importanza stessa attribuita alla conoscenza di questo linguaggio, come prerogativa di un’alta iniziazione, non permette di prenderla alla lettera. Si legge nel Corano:

 

E Salomone fu l’erede di David; e disse: «O uomini! Siamo stati istruiti al linguaggio degli uccelli e colmati di ogni cosa [ullimnâ mantiqa ‘t-tayri]…»

(27,15)

 

Altrove, si vedono eroi vincitori del drago, come Sigfrido nella leggenda nordica, comprendere subito dopo il linguaggio degli uccelli; e ciò permette di interpretare agevolmente il simbolismo in questione, infatti, la vittoria sul drago ha per conseguenza immediata la conquista dell’immortalità, raffigurata da qualche oggetto al quale il drago impediva di avvicinarsi; e tale conquista dell’immortalità implica essenzialmente la reintegrazione nel centro dello stato umano, cioè nel punto in cui si stabilisce la comunicazione con gli stati superiori dell’essere.

Appunto questa comunicazione viene rappresentata dalla comprensione del linguaggio degli uccelli; e, di fatto, gli uccelli sono presi di frequente come simbolo degli angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori; ad esempio la parabola evangelica in cui si parla, in questo senso, degli uccelli del cielo che vengono a posarsi sui rami dell’albero, di quello stesso albero che rappresenta l’asse che passa per il centro di ogni stato dell’essere e congiunge tutti gli stati fra di loro. Nel simbolo medievale del Peridexion (corruzione di Paradiso), si vedono gli uccelli sui rami dell’albero e il drago ai suoi piedi.

“Lingua degli uccelli” che possiamo anche chiamare Lingua angelica la cui immagine nel mondo umano è il linguaggio ritmato.

Per questa ragione una tradizione islamica dice che Adamo, nel Paradiso Terrestre, parlava in versi, cioè in linguaggio ritmato; si tratta di quella “lingua siriaca” (luğah sûryânîyah) che si deve considerare la traduzione diretta dell’ “illuminazione solare” e “angelica” quale si manifesta al centro dello stato umano. È anche la ragione per la quale i Libri Sacri sono scritti in linguaggio ritmato, linguaggio che ne fa ben altro che quei semplici “poemi” nel senso puramente profano che vuol vedervi il partito preso antitradizionale dei critici moderni; e d’altronde la poesia, originariamente, non era quella vana letteratura che è diventata per una degenerazione che trova la sua spiegazione nel cammino discendente del cilo umano, e aveva un vero e proprio carattere sacro. Si può dire d’altronde, in linea di massima, che le arti e le scienze sono diventate profane appunto per tale degenerazione, che le ha spogliate del loro carattere tradizionale e, quindi, di ogni significato d’ordine superiore.

Se ne possono ritrovare le tracce sino all’antichità classica occidentale, ove la poesia era ancora chiamata “lingua degli Dèi”, espressione equivalente a quelle da noi indicate poiché gli Dèi, vale a dire i Dêva – il sancrito Dêva e il latino Deus sono la stessa identica parola – come gli Angeli, sono la rappresentazione degli stati superiori.

In latino, i versi erano chiamati carmina (canti), designazione che si riferiva al loro uso nella celebrazione dei riti, dal momento che la parola carmen è identica al sanscrito Karma, che deve essere preso qui nel suo senso speciale di “azione rituale” (d’altra parte il verbo greco poiein – da cui deriva la parola poesia – ha lo stesso significato della radice sanscrita kri, da cui deriva Karma e che si ritrova nel verbo latino creare, inteso nella sua accezione primitiva; per cui il carmen era insieme un “canto” e una “creazione” poetica). E il poeta stesso (colui che componeva il carmen) interprete della “lingua sacra”, attraverso la quale traspare il Verbo divino, era vates, termine che lo caratterizzava come dotato di un’ispirazione in qualche modo profetica. Del resto gli oracoli e i vaticini venivano esposti in versi.

Più tardi, per un’ulteriore degenerazione, il vates non fu più che un volgare “indovino” e il carmen un “incantesimo” (da cui ancora oggi la parola francese charme), cioè un’operazione di bassa magia; ecco ancora un esempio del fatto che la magia e persino la stregoneria è quanto sussiste come ultimo vestigio delle tradizioni scomparse. La stessa parola “indovino” è altrettanto deviata dal suo senso, poiché etimologicamente non è altro che divinus, qui con il significato di “interprete degli Dèi”.

Gli auspici (da aves spicere, “osservare gli uccelli”), presagi tratti dal volo e dal canto degli uccelli, sono in special modo da accostare alla “lingua degli uccelli”, intesa allora nel senso più materiale ma comunque identificata ancora con la “lingua degli dèi” poiché si riteneva che questi ultimi manifestassero la loro volontà tramite tali presagi. Gli uccelli svolgevano così una funzione di messaggeri analoga a quella generalmente attribuita agli Angeli (donde il loro stesso nome, giacché questo è l’esatto significato della parola greca angelos), benché considerata in un aspetto assai inferiore.

Gli “aedi”, i cantori, erano sacri agli Dèi, principalmente ad Apollo: costui era il Capo e la Guida delle Muse (da cui: Musica), le quali erano le ispiratrici insieme delle poesie e dlele scienze.

La musica non trova corrispondenza nel mondo fisico ordinariamente concepito e neppure nel mondo mentale: proprio perché essa è o rappresenta il “parlare degli Dèi”!

Analogamente, la danza in tutte le varie forme tradizionali era fondata su conoscenze profonde ed ha avuto quasi ovunque carattere sacro.

Non stiamo parlando soltanto della “danza classica” o di altre ad essa affini – il che ci condurrebbe a trattare anche di quegli aspetti sacri della “cultura fisica” (e psichica) presenti nella gimnica greco-romana, ovvero di ciò che “ordinava” e “consacrava”, ad esempio il Judo, il Karaté, il Kung-fu – ma soprattutto delle “danze religiose”, come quella dei Coribanti (i preti di ReaCibele) o qjuella dei Sacerdoti Salii o Littori a Roma.

Certamente, comunque, ebbero origine tradizionale quelle forme di danza – degenerate ed ormai incomprese – che si possono ancora rinvenire presso molti popoli cosiddetti primitivi (come pure, ad esempio, i “culti bacchici” e certi riti “orgiastici”). Le danzatrici e i danzatori che, ballando in alcuni schemi definiti e precisi, provocano un’autoeccitazione sempre maggiore fino a cadere in una sorta di trance particolare, non sono affatto assimilabili ai medium o agli spiritisti; se mai si possono accostare, parzialmente o per diversi aspetti, ai mistici; la loro azione è spontanea e l’effetto è il raggiungimento di una superiore libertà (ben diversa dall’arbitrio che invece è l’ideale del “comportamento” e della concezione profani). Del resto tutte le varie danze funebri, “guerresche”, propiziatorie o magiche erano, in ogni caso, rituali.

Molto ci sarebbe da dire, infine, sui numeri che ovviamente sono al fondamento stesso di ogni ritmo ma la “materia” è talmente vasta e complessa che qui non può essere neppure accennata.

Luiz Maio Ruiz

 

1.

Uno squillo in sogno invia domande insolute…

cosa vuoi dirmi Maestro?

È arrivato il momento del commiato?

Dovrei accelerare il percorso spirituale?

È solo un suggerimento?

 

“Iddio è Grande”!

 

Tutti i segni sono buoni

per avvicinarsi a Te.

 

2.

Nell’amore del mio amato

ho trovato il Tuo amore.

 

E adesso che ho tutto

il mio corpo è lontano.

 

Riempirò i giorni e le notti

a ringraziarti.

 

3.

Cos’è questo macigno che soffoca l’anima?

Il dolore offusca il cervello e toglie le forze per pregare.

Quante prove si devono superare per ricordarsi di Te!

 

Resta solo il cuore non intrappolato

ad accettare la Tua volontà.

 

Sono sicura che il resto lo farai tu.

Lilly Di Benedetto