Storia del fenomeno comunitario: Volute comunitarie sulle ali del socialismo utopistico.

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Storia del fenomeno comunitario: Volute comunitarie sulle ali del socialismo utopistico.<!--:-->

«In Socialismo utopistico e scientifico, Friedrich Engels diede una definizione marxista alla parola “utopistico” che è poi stata ampiamente accettata. Mentre fino allora un’utopia veniva considerata come una immaginaria repubblica ideale la cui realizzazione era impossibile o difficile, Engels le diede un significato molto più ampio e incluse tutti i progetti sociali che non riconoscevano la divisione della società in classi, l’inevitabilità della lotta di classe e della rivoluzione sociale»(Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso utopia, edizione a cura del M.A.I., Carrara, 1981, p. 241).

Il socialismo utopistico si sviluppa nelle prime decadi del diciannovesimo secolo. In Francia — su ispirazione soprattutto di Henri de Saint-Simon (1760-1825), Charles Fourier (1772-1837) ed Etienne Cabet (1788-1855) ― ed in Inghilterra, dove emerge la figura del filantropo gallese Robert Owen (1771-1858), il cui lavoro (come nei casi di Fourier e di Cabet) avrà modo di fiorire negli Stati Uniti.
Consideriamo brevemente i personaggi citati, in relazione al loro influsso sugli esperimenti comunitari.
Henri de Saint-Simon viene considerato il fondatore del socialismo francese, un importante teorico della filosofia positiva e propugnatore di un approccio scientifico ai problemi politici e sociali.
Di cruciale importanza è stata la sua influenza sull’allievo Auguste Comte (1798-1857), autore del celebre Corso di Filosofia Positiva, “padre” del positivismo nonché fondatore, in primo luogo a livello nominalistico, della sociologia.
Il miglioramento delle condizioni di vita del proletariato, in una società gestita all’insegna della scienza e del progresso, erano una delle priorità della visione Sansimoniana, anche in relazione alla sua lettura “socialista” del messaggio evangelico. Alla morte del filosofo francese, nel 1825, prende corpo un vero e proprio movimento sansimoniano, con una consistente opera di proselitismo (molto a mezzo stampa) che porta, nel giro di pochi anni, a circa 40000 il numero degli aderenti. Il movimento coinvolge, pur “esternamente”, intellettuali del calibro di Johann Wolfgang von Goethe e John Stuart Mill fino ad influenzare il nostro Giuseppe Garibaldi.
La focalizzazione sugli aspetti mistico-religiosi del sansimonismo guida, nel 1831, una scissione tra i suoi seguaci, capeggiata da Barthélemy-Prosper Enfantin, “Père Enfantin”, precursore della teoria del “libero amore”.
Questi fonda a Ménilmontant, un’area successivamente assorbita dalla municipalità di Parigi (poco distante dal celebre cimitero di Père Lachaise), una comune paradossalmente celibataria, di cui dà un’interessante ― per quanto rapida — descrizione la scrittrice Anna Klumpke in Rosa Bonheur: the artist’s (auto)biography:

«La casa di Ménilmontant era concepita come una sorta di seminario dove gli apostoli stavano preparandosi per la loro missione gloriosa. Dunque, come gli apostoli di Cristo, dovevano spargere la “buona novella” ai quattro angoli della terra. I discepoli della nuova religione erano quasi tutti giovani uomini robusti, con barbe superbe e con indosso divise davvero pittoresche: pantaloni bianchi e maglia rossa, oltre ad una tunica blu, tendente al viola. Un particolare curioso ci mostra quanto loro tenessero al valore simbolico del completo: la maglia aveva i bottoni dalla parte della schiena, di modo che nessuno potesse vestirsi da solo. Questo era il loro memento quotidiano della necessità della fratellanza».
[…]
« Malgrado Enfantin continuasse ad invocare l’arrivo di un messia donna oltre a rivendicare la totale emancipazione del sesso femminile, le donne occupavano una posizione paradossale dopo lo scisma del 1831. Erano state rimosse dai cruciali gradi gerarchici. Nessuna donna, nemmeno le mogli dei sansimoniani importanti, coinvolte attivamente nel movimento, potevano partecipare all’esperienza comunitaria. A Ménilmontant il modello monastico era applicato quasi alla lettera; erano dunque previsti un celibato apostolico e la separazione di mariti e mogli era assunta come permanente. Questo causò, naturalmente, perplessità e dolore a molte donne» (Anna Klumpke, Rosa Bonheur: the artist’s (auto)biography, Gretchen Van Slyke, 2001, pp. 96-97, traduzione mia).

L’esperimento ha termine nel maggio 1832 con l’imprigionamento di Père Enfantin per truffa, per aver fondato, illegalmente, una società segreta ed incoraggiato pratiche contrarie alla pubblica moralità.
Tuttavia, anche l’esperienza di Ménilmontant non passa senza lasciare traccia. Ritroviamo difatti il nome, ad enfatizzare uno stile di vita comunitario, in un gruppo jazz contemporaneo, creato dal sassofonista afro-americano, residente a Parigi, Steve Potts: la Ménilmontant street band.

Poco più giovane di Saint Simon, Charles Fourier nasce a Besançon, nella Francia orientale. Influenzato dai filosofi illuministi, in particolare da Jean Jacques Rousseau, dichiara di aver scoperto, nel 1799, una scienza dell’interazione umana che può avvalersi del “calcolo dell’attrazione passionale”. Sostiene esistano dodici tipi di sensazioni/emozioni/passioni, partendo da quelle riconducibili agli organi sensoriali, attraversando l’amicizia, l’ambizione, l’amore ed il “senso della famiglia” sino a giungere al “cabalismo” (attitudine competitiva), allo “sfarfallare” (il bisogno di variare le proprie attività e frequentazioni) e ad una passione “composita”, risultante da un’integrazione di piaceri fisici e spirituali.
Combinando queste dodici sensazioni/emozioni/passioni è possibile ricavare, a parere di Fourier, ottocentodieci possibili personalità umane.
Ad una classificazione degli uomini, Fourier ne accosta una di natura storico-sociale, ritenendo il genere umano debba attraversare sei stadi prima di giungere ad una società ideale che possa rispondere, legittimamente, al nome di “Armonia”.
La realizzazione di primi nuclei di società armonica prevede, a parere di Fourier, la creazione di strutture produttive (falangi) collegate, ciascuna, ad una struttura abitativa (falansterio).
Falangi e falansteri diventano dunque le due facce della comunità fourierista (in cui vengono valorizzate l’agricoltura non estensiva, la floricoltura e l’artigianato, lasciando solo un piccolo spazio all’industria, sono dunque l’espressione di un’utopia “pastorale” più che industriale) in cui è previsto vivano, su circa quattrocento ettari di terra, milleseicentoventi abitanti: due per ciascun tipo di personalità umana.
Nelle comunità fourieriste le occupazioni, in coerenza con l’attitudine allo “sfarfallare”, devono cambiare, per evitare di cadere nell’alienazione, i costumi sessuali devono essere “liberati” ed i bambini allevati dal nucleo comunitario.
Fourier ritiene debba essere la passione — usando un termine freudiano: l’eros ― a guidare la scelta del lavoro di ciascuno, lasciando i lavori più semplici ai bambini (che possono trovare divertente farli) e quelli meno piacevoli a chi sia disposto, momentaneamente, a sacrificarsi per un salario più elevato.
Nel momento in cui la repressione delle passioni umane (che si prevede vengano utilizzate, come abbiamo visto, in modo creativo) viene condannata, ampio spazio viene lasciato alle attività ludiche: balli, banchetti, spettacoli.
La comunità fourierista, una piccola città-giardino, non è comunista o egualitaria, pur in presenza di cibo, case ed altri beni essenziali garantiti dalla falange. Le retribuzioni di ciascun individuo, erogate ancora dalla falange, sono oggetto di calcoli che prevedano, accanto al compenso per il lavoro svolto, una percentuale in relazione al capitale personale (in modo da promuovere una moderata redistribuzione della ricchezza; i più poveri hanno difatti diritto ad una percentuale più alta) ed una in relazione al talento di ciascuno (per non trascurare un po’ di sana meritocrazia, valorizzata nel pensiero fourierista).
Fourier non ha modo di veder realizzato il suo sogno. Non manca, tuttavia, chi lo realizza per lui. Si chiama Albert Brisbane (1809-1890), uno studente di una famiglia di mercanti di New York, simpatizzante sansimoniano prima di convertirsi, appassionatamente, al fourierismo.
Attraverso la pubblicazione di libri e giornali riesce a coinvolgere migliaia di persone di varia estrazione culturale e religiosa, pacifisti, socialisti, eccetera.
Oltre venti comunità fourieriste vengono fondate, negli Stati Uniti, nel corso degli anni quaranta dell’Ottocento. La più celebre è, probabilmente, Brook Farm, nel Massachusetts. Poche tra queste superano gli anni cinquanta dello stesso secolo e, comunque, non sopravvivono a lungo.
L’influenza di Fourier rimane tuttavia viva e non solo in ambito comunitario (dove verrà espressamente citato ― come uno dei propri “maestri” — da John Humphrey Noyes, fondatore della celebre comunità di Oneida, ancora negli Stati Uniti, di cui si parlerà più avanti). I suoi principi verranno ripresi da architetti del calibro di Le Corbusier oltre che in molti progetti contemporanei di co-housing, in particolare per la valorizzazione di spazi da fruire in comune.
Credo meriti anche segnalare il comune di Campomaggiore, in provincia di Potenza, presentato come “il paese dell’utopia sociale” perché progettato e realizzato, fra la fine del Settecento ed i primi decenni dell’Ottocento, in linea con principi fourieristi ed oweniani.
L’architetto Giovanni Patturelli, allievo di Luigi Vanvitelli (progettista della Reggia di Caserta), aveva difatti concepito il paese come una falangeria per 1600 abitanti, con una struttura perfettamente a scacchiera. Era stato anche previsto che un certo numero di terreni venisse dato ai contadini (il Conte Teodoro Rendina, sui cui possedimenti si trovava Campomaggiore, emanò un editto in virtù del quale tutti coloro che vi si fossero trasferiti avrebbero avuto diritto ad “una casa e due tomoli di terreno”). La piccola “utopia lucana” vede dunque la luce, il paese si popola (nel 1884 conta circa 1500 persone) e prospera finchè un inarginabile evento franoso, nel 1885, distrugge il sogno di una “cittadina ideale”.
L’antico borgo, tuttavia, oltre ad essere ancora visitabile, è attualmente oggetto di una lavoro di rivalutazione e valorizzazione come cornice suggestiva per eventi mondani e culturali .
Last but not least, l’anarchico italiano Giovanni Rossi, esplicitamente influenzato anche dai testi di Fourier, promuove nello stato del Paranà, in Brasile, un esperimento di comunità libertaria tra il 1890 ed il 1894. Questo prende il nome di Colonia Santa Cecilia ed arriva a coinvolgere circa duecentocinquanta persone, persuase della validità della dottrina del libero amore.

Consideriamo ora l’ultimo dei pensatori francesi cui si è accennato in apertura di paragrafo: Etienne Cabet. Repubblicano convinto, protagonista dei moti parigini del 1830, è il primo pensatore a parlare, sistematicamente, di comunismo. Rispettivamente nel 1840 e nel 1845 pubblica i due opuscoli: Il mio credo comunista e Perché io sono comunista.
La sua opera più importante, tuttavia, ispirata anche da un suo periodo di vita in Inghilterra, dove ha modo di confrontarsi con il lavoro di Robert Owen, è Voyage en Icarie, fatta circolare in edizione clandestina nel 1840 e pubblicata ufficialmente due anni dopo. Conosce subito un buon successo; ne vengono stampate cinque edizioni ed è tradotta in diverse lingue.
Vi troviamo quella che può essere considerata una sorta di “frase-manifesto” del successivo movimento comunista — «ciascuno ha il dovere di lavorare lo stesso numero di ore al giorno, secondo i propri mezzi, e il diritto di ricevere una parte eguale di tutti i prodotti, secondo i propri bisogni» ― che contribuisce a rendere famoso il suo autore come “apostolo di un comunismo gradualista (che, sosteneva, avrebbe contagiato un numero crescente di persone attraverso l’esempio pratico) e pacifico”.
Maria Luisa Berneri, in Viaggio attraverso utopia, cita alcuni brani dell’opera in questione, ovvero del mondo ideale (Icaria) sognato da Cabet:

«Icaria è convenientemente isolata dal resto del mondo […]. È divisa in un centinaio di province, più o meno uguali per dimensioni e per popolazione. Ogni provincia è divisa in dieci comuni della stessa grandezza all’incirca. Il principale capoluogo è situato approssimativamente al centro della provincia e le città al centro del comune. Ogni comune comprende, oltre alla città, otto villaggi e molte fattorie, proporzionatamente disseminate sul suo territorio. Un’estesa rete di strade, ferrovie e vie d’acqua collega ogni parte del paese.
[…]
Ogni cosa ad Icaria è fatta col più scrupoloso rispetto per la simmetria. Tutte le strade sono rettilinee e ampie. Cinquanta strade principali percorrono la città parallelamente al fiume e cinquanta le intersecano perpendicolarmente. Tra le strade ci sono delle piazze con meravigliosi giardini e tutte le case hanno giardini sulla parte posteriore, che vengono coltivati dalle famiglie cui appartengono.
[…]
Ogni cosa è attentamente pianificata dallo stato con l’aiuto di esperti e dopo consultazione con l’intera nazione.
[…]
Ogni cosa è stata fissata dalla legge, dalla massa delle città al modello dei capelli, dal rigido orario al menu per ogni giorno della settimana
»(Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso utopia, op. cit., p. 258).

Tutto, dalla proprietà personale degli abitanti che Cabet ama definire “soci”, ai prodotti agricoli ed industriali, rientra in un unico capitale sociale.
L’organizzazione politico-istituzionale, ad Icaria, è un misto di democrazia diretta e rappresentativa.
Esiste una Rappresentanza popolare, composta da duemila deputati ed un’unica camera.
A loro il potere di predisporre la costituzione e le leggi per il popolo.
Esiste poi un Esecutivo, composto da un presidente e 15 membri, completamente subordinato all’organo legislativo.
Il popolo si esprime nelle sue assemblee, ove può discutere le leggi «prima e dopo le deliberazioni dei suoi rappresentanti» .
Sia la Rappresentanza popolare che ogni assemblea comunale si dividono in 15 Comitati principali per gestire, ciascuno, i diversi affari (costituzionali, educativi, produttivi, ecc…) della vita collettiva.
Nel 1848 prende corpo una prima colonia icariana negli Stati Uniti, a Nauvoo, in Texas, mentre in Francia il movimento cabetiano è arrivato a coinvolgere alcune centinaia di migliaia di persone. Seguono altri sette esperimenti sociali icariani ma il numero dei membri si va gradualmente assottigliando fino alla completa estinzione, nel 1898. Contrariamente a Fourier, che non ha modo di vedere realizzata la sua utopia, Cabet muore troppo presto, nel 1856, per assistere alla graduale dissoluzione del suo nucleo di società ideale.

Passiamo ora la Manica e raggiungiamo, idealmente, Newton, cittadina del Galles dove, sul calare del Settecento, troviamo giovanissimo — penultimo figlio (il sesto) di un sellaio e maniscalco — colui che è stato unanimemente riconosciuto come uno dei massimi e più propositivi esponenti del movimento operaio britannico: Robert Owen. Il ragazzo è particolarmente dotato e dunque diventa presto un businessman di successo a Manchester, nel mondo del cotone.
L’amore per la futura moglie, Caroline Dale, lo porta in Scozia, a New Lanark, un villaggio sorto attorno ad un cotonificio (il cui proprietario è David Dale, padre di Caroline) in cui vivono e lavorano, come operai, circa 2000 persone, un quarto dei quali bambini provenienti dagli orfanotrofi delle vicine Edimburgo e Glasgow.
Robert Owen amministrerà il cotonificio per circa 25 anni (dal 1800 al 1825), compiendo una trasformazione radicale, abolendo il lavoro minorile e le punizioni corporali, provvedendo ai lavoratori buoni alloggi, istruzione, buoni prodotti nello spaccio del villaggio (venduti a prezzi ragionevoli e dove la vendita di alcolici viene rigorosamente controllata) ed un servizio sanitario gratuito. In una parola: una vita più umana; un’utopia per una classe operaia ancora poco sindacalizzata ed organizzata in un movimento internazionale.
New Lanark diviene dunque un insediamento produttivo-modello, da un certo punto di vista si rivela un successo anche sul piano commerciale ed è oggi un sito patrimonio-dell’umanità.
Durante il suo periodo nel villaggio/cotonificio scozzese, Owen tratteggia i lineamenti fondamentali del suo pensiero. Li ritroviamo nel suo A New View of Society, or Essays on the Principle of the Formation of the Human Character,Preparatory to the development of a plan for gradually ameliorating the condition of mankind, pubblicato a Londra nel 1816 e risultato di una rielaborazione ed aggiornamento di testi pubblicati tra il 1812 ed il 1813. Centrale la sua concezione dell’ambiente, dunque del contesto politico/economico/sociale, nella formazione del carattere dell’individuo, ragion per cui nessuno sarebbe responsabile dei propri desideri e delle proprie azioni perché l’indole di ciascuno avrebbe preso corpo a prescindere da lui. Di qui, la necessità di un ambiente “sano” e dell’investimento in capitale umano. Owen appunta, inoltre, l’attenzione sul sistema produttivo, sostenendo vada valorizzato l’artigianato più del lavoro in fabbrica e che lo sfruttamento feroce dei lavoratori e l’esasperazione della concorrenza rappresentino degli eccessi inutili per un buon funzionamento dell’industria.
Di qualche anno successiva la sua “tesi politico-comunitaria”, che identifica nel decentramento delle collettività in tante, piccole, comunità un buon antidoto alla povertà ed alle peggiori piaghe sociali: analfabetismo, alcoolismo, disoccupazione.
Precisamente, avendo sullo sfondo l’esperienza di New Lanark, sostiene si debbano moltiplicare comunità di massimo 3000 abitanti, su tenute di 4-6 chilometri quadrati. Lo spazio residenziale dovrebbe essere un unico edificio quadrato con cucine e mense comuni ed appartamenti familiari privati.
I bambini verrebbero cresciuti, dopo i tre anni di età, dalla comunità — un po’ come nei falansteri di Fourier ― mentre il lavoro (in primo luogo quello agricolo, senza togliere spazio al maggior numero possibile di occupazioni) ed i profitti dello stesso sarebbero comuni.
Più comunità dovrebbero federarsi tra di loro — creando organismi federativi di decine, centinaia di unità — essendo ciascuna, auspicabilmente, autosufficiente.
La concezione di comunità autogestite, liberamente federate tra di loro avrà, qualche decennio più tardi, una buona fortuna nel pensiero anarchico.
Gli affari interni delle comunità di Owen dovrebbero essere di pertinenza del Consiglio Generale, composto da comunitari con età compresa tra i 30 ed i 40 anni.
Degli affari esterni, invece, si dovrebbe far carico un altro consiglio generale, composto questa volta da tutti i membri tra i 40 ed i 60 anni.
L’esperimento sul campo di Owen ha luogo nell’Indiana (Stati Uniti) dove inaugura, nel 1826, New Harmony.
Scrive Ronald Creagh, autore di Laboratori di utopia, a proposito della “comunità modello” concepita dal filantropo gallese:

«[New Harmony] rifiuta i fondamenti socio-culturali dell’ordine americano: la religione, il matrimonio e, ancora peggio, la proprietà privata. La sua rivendicazione dell’uguaglianza dei sessi, la sua volontà di laicizzare la vita pubblica, la sua rivoluzione permanente le conferiscono, per l’epoca, un’immagine di avanguardia libertaria. Se per molti aspetti essa può rivendicare il ruolo di precorritrice, per altri non è mai stata superata: una pedagogia che rifiuta la divisione tra lavoro intellettuale e manuale, un’associazione che riunisce i più grandi intellettuali americani dell’epoca insieme ai contadini e agli operai. Si direbbe un sogno!» (Ronald Creagh, Laboratori di utopia, Eleuthera, Milano, 1987, p. 13).

Il “laboratorio di utopia’, tuttavia, fallisce un paio di anni dopo. Alcuni sostengono per l’eccessiva eterogeneità delle persone coinvolte. L’anarchico individualista Josiah Warren, coinvolto nell’esperimento comunitario, ricondusse invece le ragioni del fallimento alla mancanza di sovranità individuale e di proprietà privata.
Di ritorno a Londra, Owen si dedica all’organizzazione delle Trade Unions e, successivamente, di cooperative di consumo per i lavoratori.
Ispira nuovi esperimenti comunitari nel Regno Unito ed in Irlanda che, tuttavia, non reggono alla prova del tempo.

 

 

Per approfondire

 

Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.

 

Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.

 

Leggine l’introduzione

 

Prezzo di copertina: 16.5 euro

 

Disponibile anche in formato Kindle