Tuscia mistica

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All’inizio fu la preistoria, tra le più ricche in Europa, di cui rimangono poche testimonianze: utensili, cocci, muri di pietra. Poi vennero gli Etruschi, una civiltà che ha lasciato grandi tesori, tombe dipinte, ori, vasi, templi. Ma la loro storia fu cancellata dal sopravvento dell’impero romano.

Attraverso il medioevo, il rinascimento e fino ai tempi moderni, la Tuscia ha sempre avuto un ruolo fondamentale per l’arte, l’architettura, la storia. È stata patria, rifugio, terra di conquista e residenza di papi, artisti, re e imperatori che hanno influenzato gli avvenimenti politici e religiosi ben oltre i confini italiani.

John Ratner

 

Obiettivo di questa ricerca è soffermarsi su di alcuni aspetti religiosi della Tuscia, in particolare nel momento in cui la sub-regione del Lazio settentrionale ha fatto da suggestiva cornice a diverse forme di ricerca mistica, ovvero di realizzazione piena dell’homo religiosus. Riprendendo liberamente la definizione di Mircea Eliade: l’homo religiosus è colui che, esule volontario, fuoriesce senza rimpianti dalla vicenda umana, per sposare il cielo.

Iniziamo qui con una breve panoramica storica della Tuscia, ponendoci come primo limite l’anno Mille per poi entrare nello specifico della ricerca che non potrà, naturalmente, esaurirsi in questo solo post.

Buona lettura!

Manuel Olivares

 

 

La terra dei tusci

 

Con il termine Tuscia (territorio abitato dai tusci, plurale di tuscus, contrazione di etruscus)  si indicava — a partire dal quarto secolo d.C. —  il territorio conosciuto fino alla riforma dioclezianea delle province italiche (297) come Etruria.

Con la riforma di Diocleziano l’Etruria (Regione VII dell’Italia augustea) venne accorpata alla Regione VI che, già allora, aveva il nome di Umbria (pur non avendo gli esatti confini dell’Umbria attuale).

Ne risultò la suddivisione amministrativa Tuscia et Umbria che comprendeva un territorio decisamente più vasto di quello dell’attuale Tuscia (di cui abbiamo riportato la cartina e che coincide, in buona parte, con la provincia di Viterbo, nel Lazio del nord), corrispondente grossomodo all’attuale Toscana, al Lazio settentrionale ed a parte dell’Umbria.

Il Rescritto di Costantino, nel 333, concesse all’Umbria una sorta di autonomia mentre una successiva diversificazione avvenne sotto il Regno Longobardo (568-774).

Nel 574 — all’inizio del cosiddetto Periodo dei Duchi (574-584), ovvero di quei nobili longobardi che si erano distinti in combattimento e che, per circa un decennio, governarono autonomamente i propri “feudi” in assenza di un re centrale — viene difatti costituito il Ducato Longobardo di Tuscia.

Il Ducato si estendeva su territori, come vedremo, sottratti ai Bizantini ovvero su gran parte dell’odierna Toscana e parte della provincia di Viterbo.

La capitale del Ducato di Tuscia era Lucca, posta lungo la celebre Via Romea — che avrebbe successivamente preso il nome di Via Francigena — e dove risiedeva il dux et iudex: il duca.

 

 

Brevi cenni sull’Esarcato d’Italia e sul Ducato Romano (le cui storie si intrecciano con quelle del Ducato di Tuscia)

 

Facciamo un rapido salto indietro di quasi due secoli per offrire un quadro più chiaro degli eventi storici in cui si trovò coinvolta la Tuscia alle soglie e poi nel corso del Medio Evo.

Nel 395 Arcadio ed Onorio, figli di Teodosio I, diventano rispettivamente l’Imperatore Romano d’Oriente e d’Occidente. Da quel momento l’Impero Romano non si sarebbe più riunificato ed i due imperi andarono incontro a diversi destini.

La pressione delle invasioni barbariche, a partire dal quinto secolo, indussero Onorio a trasferire, nel 402, la capitale dell’Impero Romano d’Occidente da Mediolanum (l’attuale Milano) a Ravenna.

Per un breve periodo — a partire dal 455 e fino al 473 — la capitale dell’Impero Romano d’Occidente sarebbe stata nuovamente Roma per poi tornare ad essere Ravenna dove, nel 476, viene deposto l’ultimo Imperatore Occidentale: Romolo Augustolo.

Con la stessa data viene indicato, convenzionalmente, l’inizio del Medio Evo o meglio: dell’Alto Medio Evo.

Il re degli Eruli Odoacre, vincitore su Romolo Augustolo, rimette le insegne dell’Impero a Zenone, a capo dell’Impero Romano d’Oriente.

Odoacre diviene dunque patrizio d’Italia, governando per conto del sovrano di Costantinopoli pur godendo della più ampia autonomia.

Ad Odoacre succede il re degli Ostrogoti Teodorico il Grande (454-526). Succede è un termine eufemistico dato che, nel 493, Teodorico si impadronirà del trono uccidendo Odoacre con le proprie mani. Ai soldati di Teodorico, poi, il compito di sterminare i quadri più importanti dell’esercito avversario. Teodorico il Grande sarà dunque Re d’Italia, sotto l’Imperatore d’Oriente, tra il 493 ed il 526.

A circa un anno dalla morte di Teodorico, nel 527, sale al trono dell’Impero Romano d’Oriente Giustiniano I che, nel corso del suo lungo regno, si sarebbe prodigato a tentare di riconquistare ampie porzioni dell’Impero Romano d’Occidente, sottraendole ai cosiddetti “barbari”.

Giustiniano entra dunque in rotta di collisione con gli Ostrogoti, ovvero con il Regno Ostrogoto d’Italia che mantiene la sua capitale a Ravenna fino al 540.

Esplode dunque la famigerata Guerra Gotica che si protrae per quasi vent’anni (535-553) mettendo l’Italia in ginocchio, complici epidemie di peste e carestie che affliggeranno il paese anche negli anni successivi al ventennio di ostilità.

Merita sicuramente menzione che i prodromi della guerra gotica vedono coinvolta un’area della Tuscia (precisamente dell’attuale Alta Tuscia: il territorio a nord di Viterbo) dove finirà i suoi giorni la reggente del Regno Ostrogoto: Amalasunta.

 

Soffermiamoci brevemente su questo personaggio-chiave: Amalasunta nasce a Ravenna nel 495 ed è l’unica figlia del re ostrogoto Teodorico cui succede, come reggente (in nome del figlio Atalarico), nel 526. Donna di buona cultura (conosce il latino ed il greco) tenta di mediare tra il mondo goto, romano e bizantino.

Stabilisce buoni rapporti diplomatici con Giustiniano, con la riserva di fuggire a Costantinopoli con il ricco tesoro ostrogoto.

Atalarico, figlio di Amalasunta ed erede al trono sotto la reggenza materna — data la tenera età — muore il 2 ottobre 534. Divenuta regina, Amalasunta associa al trono il cugino Teodato, Duca Ostrogoto di Tuscia.

A causa di trame politiche che non ci sono del tutto chiare, Teodato fa imprigionare Amalasunta sull’Isola Martana, nel Lago di Bolsena, dove verrà strangolata il 30 aprile 535.

Giustiniano, alleato di Amalasunta, prenderà il suo assassinio a pretesto per iniziare la Guerra Gotica.

La guerra conosce alterne vicende su cui non è il caso, ora, di soffermarsi. Alla fine della Guerra Gotica l’Italia diventa un territorio bizantino.

La vittoria di Costantinopoli, tuttavia, si rivela piuttosto effimera.

 

Nel 568 Alboino, re dei Longobardi, entra in Italia. Negli anni successivi l’Italia settentrionale, ad eccezione delle coste della Liguria e del Veneto, diventano parte del Regno Longobardo, con capitale Pavia.

I primi due ducati longobardi nel centro e nel sud Italia sono Spoleto (570) e Benevento (571).

Messo alle strette, l’Imperatore Bizantino Maurizio cede alla tentazione di accentrare autorità civile e militare nelle mani di un’unica persona, superando la ripartizione di poteri tra prefetto del pretorio (figura dell’amministrazione militare e civile dell’Impero) e magister militum (comandante dell’esercito).

Dagli anni Ottanta del VI secolo, nell’Italia contesa tra Longobardi e Bizantini, i poteri vengono dunque accentrati nelle mani dell’Esarca: un viceré imperiale che governa i territori, bizantini, d’oltremare.

L’Italia bizantina verrà dunque indicata con il termine Esarcato d’Italia — con capitale Ravenna — i cui territori subiranno, tra alterne vicende, un progressivo assottigliamento sotto la spietata pressione longobarda.

L’Esarcato d’Italia viene diviso in 7 circoscrizioni militari (ducati), comandate ciascuna da un dux o magister militum di nomina imperiale.

Quelle che ci interessano sono: il Corridoio Bizantino ed il Ducato Romano.

Il Corridoio Bizantino prende forma a partire dal 570, dunque nel primo ed aggressivo periodo longobardo i quali lasciano in mano bizantina alcuni castelli difficilmente espugnabili nell’area dell’attuale Umbria: Narni, Amelia, Todi, Perugia e Gubbio. Gravitano tutti sulla celebre (soprattutto per chi abita nella Tuscia) via Amerina che collegava Roma ad Amelia (primo centro che incontrava, in Umbria, allora conosciuto come Ameria e da cui prendeva il nome) per poi proseguire attraversando Todi, Perugia e Gubbio. In quell’epoca la via Amerina rappresenta una buona alternativa alla via Flaminia — controllata, per buona parte, dai Longobardi e con la quale, tuttavia, la via Amerina si congiungeva nei pressi dell’odierna Cantiano, nuovamente in territorio bizantino — per mantenere in comunicazione Roma e Ravenna. Più precisamente la capitale dell’Esarcato, Ravenna, si raggiungeva prendendo, nel territorio corrispondente all’attuale Romagna, la via Popilia in cui “confluiva” la via Flaminia all’altezza di Rimini. Inutile dire che i longobardi tentavano in ogni modo di impedire le comunicazioni tra Roma e Ravenna, ad esempio coordinando le attività dei loro possedimenti nel Ducato di Spoleto e nel Ducato di Tuscia.

 

Il Corridoio Bizantino, dunque, si incuneava tra il Ducato di Tuscia, ad ovest ed il Ducato di Spoleto, ad est. Il territorio della Tuscia attuale si trovava dunque, allora, diviso tra il Ducato Longobardo di Tuscia, il Corridoio Bizantino — attraversato dalla via Amerina che aveva tra le sue stazioni principali Nepi, Falerii Novi ed Orteed il Ducato Romano.

La città di Falerii Novi venne realizzata dai romani nel terzo secolo avanti Cristo per deportarvi gli abitanti, Falisci, di Falerii Veteres, l’attuale Civita Castellana. Falerii Novi ha iniziato a spopolarsi nel corso della Guerra Gotica e, in maniera irreversibile, dopo il Mille. Le sue vestigia ricadono oggi nel comune di Fabrica di Roma che, assieme alle citate Nepi ed Orte, si trova nella cosiddetta bassa Tuscia (il territorio tuscio a sud di Viterbo).

Al vertice del Ducato Romano troviamo il Dux Romae, sotto la cui custodia ricade anche la Sede di Pietro (la Chiesa di Roma).

Tuttavia, fin dall’epoca di Gregorio Magno (590-604), il Papa è — di fatto — la massima autorità di Roma e dello stesso Ducato. Sono difatti le tenute della proprietà papale a garantire l’approvvigionamento alimentare di Roma in quegli anni bui. Il papato finisce dunque per diventare, con il tempo, il punto di riferimento degli stessi Longobardi che avevano iniziato ad abbracciare il credo cristiano — sul principio del settimo secolo — incoraggiati dalla propria regina Teodolinda.

 

 

La Donazione di Sutri

 

Siamo giunti al primo ventennio dell’ottavo secolo. I Longobardi hanno sottratto molti territori, nella penisola italiana, ai Bizantini sempre più protesi alla difesa di Ravenna, capitale dell’Esarcato, a scapito di Roma, nel mirino dei propri avversari che ardono dal desiderio di espugnarla.

Il Ducato Romano dispera ormai di poter contare su di un efficiente sostegno militare da parte di Costantinopoli.

Il Regno dei Longobardi è in mano al re Liutprando dal 712 e vi rimarrà fino al 744.

Stimato dal suo popolo, Liutprando sarà in grado di accentrare il potere su di sé, ridimensionando l’autonomia dei ducati longobardi.

La stragrande maggioranza dei Longobardi, a partire dallo stesso Liutprando, si riconosce oramai nella Chiesa Cattolica.

Nel 726 Liutprando, approfittando del caos scatenato dalla disputa iconoclasta (su cui non ci soffermiamo per non allontanarci troppo dall’obiettivo del nostro studio) muove guerra all’Esarcato, occupando Bologna e facendo tremare i ravennati.

Due anni dopo, volendo strategicamente appropriarsi dei territori che — ancora sotto la giurisdizione dei Bizantini — dividono il Regno Longobardo in due tronconi (gravitando sul Corridoio Bizantino), Liutprando occupa, tra gli altri, quello della fortificazione di Sutri, posta a difesa della via Cassia, nell’area settentrionale del Ducato Romano (nella bassa Tuscia di oggi).

Papa Gregorio II (715-731), sentendosi in pericolo assieme alla sua città, tenta di mediare con Liutprando, invocando la restituzione dei territori conquistati all’Esarcato.

In risposta, Liutprando dona il castrum di Sutri a Gregorio II (formalmente destinadolo “agli apostoli Pietro e Paolo”), legittimando una sovranità territoriale del pontefice (che aveva già, di fatto, poteri giurisdizionali sulla città di Roma ed alcuni dintorni, pur rimanendo soggetto all’Imperatore di Costantinopoli).

Con la Donazione di Sutri, avvenuta nel 728, siamo dunque di fronte ad una cruciale svolta storica: il papato vede rafforzata la propria autorità politica, acquisendo un potere temporale formalmente riconosciuto. Del resto il potenziamento del potere papale è un processo in atto dai decenni precedenti la Donazione di Sutri, a fronte, come si accennava, della precaria gestione politica di un’Italia frammentata e piegata dalle continue guerre da parte dell’Impero.

Lungi dal fermarsi con la Donazione di Sutri, il potenziamento del potere papale proseguirà negli anni successivi, in particolare con Papa Zaccaria, nel progressivo allontanamento dei Bizantini.

Nel 743 Liutprando e Papa Zaccaria si incontrano a Terni. Il Papa ottiene, per donationis titulo, quattro città occupate dai Longobardi: Vetralla (oggi nella Tuscia, a pochi chilometri da Viterbo), Palestrina, Ninfa e Norma. Ritorna anche in possesso di parte dei patrimoni ecclesiastici in Sabina (sub-regione laziale corrispondente oggi alla provincia di Rieti), di cui si era appropriato, più di trent’anni prima, il Ducato Longobardo di Spoleto.

La Donazione di Sutri e le donazioni successive rappresentano dunque un momento prodromico nella formazione dello Stato pontificio.

Pochi anni dopo, nel 751, con la conquista di Ravenna da parte del re longobardo Astolfo, si chiude la fase storica dell’Esarcato d’Italia.

 

 

Arrivano i Franchi

 

Roma è, naturalmente, ancora nel mirino dei Longobardi, guerrieri instancabili. Il 26 marzo 752 sale al soglio pontificio Papa Stefano II.

Questi invoca la protezione di Pipino il Breve, da poco Re dei Franchi con l’esplicito appoggio del suo predecessore: il già menzionato Papa Zaccaria.

 

Pipino il Breve venne difatti unto e incoronato, a Soissons, nel novembre del 751, da Bonifacio, vescovo di Magonza, in rappresentanza naturalmente del Papa.

Anche in virtù di questi precedenti, Stefano II ottiene un incontro con Pipino il Breve, presso la residenza del Re, a Ponthion.

Abile mediatore e persuasore, il Papa ottiene la promessa di un intervento militare dei Franchi, in Italia, contro i Longobardi.

A seguito dell’incontro viene prodotto, inoltre, un documento ufficiale andato, poi, perduto: la Promissio Carisiaca con il quale il Re si impegna a donare alla Sede Apostolica una serie di territori appartenuti all’Impero Bizantino e, successivamente, ai Longobardi.

Il 28 luglio 754, Pipino, la moglie ed i due figli — Carlo e Carlomanno — vengono unti, nella Cattedrale di Saint Denis, dal Papa in persona.

Pipino il Breve diviene dunque “Re per grazia di Dio”. Chiunque altro, non carolingio, avesse tentato di farsi eleggere Re sarebbe incorso nella scomunica papale. Infine, Pipino acquisisce il titolo di  patricius Romanorum (protettore di Roma e della cristianità).

Seguono scontri tra Franchi e Longobardi. All’inizio del 756 Astolfo giunge alle porte di Roma e la stringe d’assedio ma la sola notizia della mobilitazione, pur tardiva, del re franco, lo fa retrocedere e, poco dopo, muore per una caduta accidentale da cavallo durante una partita di caccia. Il 7 marzo 757 viene dunque eletto Re dei Longobardi Desiderio (ex Duca di Tuscia ), forse per volontà dello stesso Pipino.

Questi inizia una politica di buon vicinato con il Papa, corroborata da qualche donazione (Bagnacavallo, Faenza e Ferrara). I rapporti tra Desiderio ed il Papato, tuttavia, si guastano con Adriano I. Dunque alla fine del 772 Desiderio varca in confini del Ducato Romano, iniziando a rappresentare una minaccia per la stessa Roma.

Adriano I invoca la protezione di Carlo Magno, primogenito di Pipino il Breve e Re dei Franchi dal 768 (insieme al fratello Carlomanno che tuttavia muore il 4 dicembre 771).

Carlo Magno, nel 774, dopo la caduta di Pavia (ovvero della capitale del Regno Longobardo) — assediata per nove mesi dall’esercito franco — si proclama Rex Francorum et Langobardorum.

 

Il giorno di Natale dell’800 papa Leone III incorona Carlo Magno (che considera la Chiesa come diretta erede dell’Impero Romano d’Occidente) Imperatore dei Romani, dando impulso alla fondazione dell’Impero Carolingio.

Merita menzione il fatto che il titolo di Imperatore non era stato mai più usato, in Occidente, dopo la destituzione di Romolo Augusto nel 476.

Nell’800 Carlo Magno aveva già dato prova di “buona volontà” alla Chiesa che lo avrebbe poi, pienamente, legittimato, donando a sua volta, al Patrimonio di San Pietro (embrione di quello che sarebbe poi stato conosciuto come Stato Pontificio), una parte della Sabina (nel 781) e, nel 787, parte del territorio dell’attuale Tuscia oltre ad lacune città dell’attuale bassa Toscana (facenti parte dell’allora Ducato di Tuscia o Tuscia Longobarda) e alla città di Orvieto.

Poco dopo, nel 797, il Ducato di Tuscia passa sotto il controllo del conte franco Wicheramo divenendo una marca: un’ampia circoscrizione pubblica che comprendeva diverse contee.

Il Ducato di Tuscia diviene dunque Marca di Tuscia e, successivamente, Mangraviato di Toscana ( i cui territori coincidevano, per buona parte, con quelli della Toscana attuale).

Per evitare di fare confusione merita dunque introdurre il concetto di Tuscia Romana, sezione settentrionale del Ducato Romano prima e, poi, parte rilevante del Patrimonio di San Pietro e dello Stato Pontificio.

Possiamo dire che la Tuscia attuale (di cui abbiamo riportato la mappa all’inizio di questo post) si è venuta conformando a partire dalla Tuscia Romana.

L’autorità dell’Imperatore Franco sull’Occidente viene formalmente riconosciuta, nell’812, dall’Imperatore Bizantino che ottiene in cambio, da Carlo Magno, il litorale veneto, l’Istria e la Dalmazia.

Dodici anni dopo viene emanata la Constitutio Romana o Constitutio Lotharii. La stesura del documento viene concordata tra Lotario I, sovrano del Regno d’Italia, associato al trono imperiale carolingio dal padre Ludovico il Pio (figlio di Carlo Magno) ed il Papa Eugenio II.

Con la Costitutio Romana i poteri municipali sono appannaggio dell’aristocrazia romana, sottoposta all’autorità del Pontefice che è, a sua volta, assistito dall’Imperatore. Questi è difatti riconosciuto come patricius: protettore della città.

È diritto dell’Imperatore confermare o meno l’ascesa al soglio pontificio del Papa appena eletto.

Siamo dunque di fronte ad un indiscusso potere franco in Italia e nello stesso, nascente, Stato Pontificio ma lo stesso Impero Carolingio, sul finire dell’Ottocento, si avvia ad un inesorabile sfaldamento.

Nell’888 anche l’Impero Carolingio è oramai alla fine. Ne è l’erede il Sacro Romano Impero sotto la cui autorità passerà, non senza turbolenze, anche il Regno d’Italia.

Il Sacro Romano Impero avrà vita lunga, sciogliendosi nel 1806. Sino ad allora, l’Imperatore del Sacro Romano Impero manterrà l’autorità di signore feudale sugli stati dell’Italia settentrionale e centrale.

Rappresenteranno un’eccezione a questa regola la Repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio nei cui territori, come abbiamo visto, ricade da tempo la Tuscia Romana.

 

Terminiamo, momentaneamente, qui questa lunga premessa storica per entrare, con il prossimo post, nello specifico di questa ricerca: la storia religiosa della Tuscia (avendo come primo limite l’anno mille) con particolare attenzione alla ricerca mistica, ovvero di realizzazione piena, come si accennava in apertura, dell’homo religiosus: colui che, esule volontario, fuoriesce senza rimpianti dalla vicenda umana, per sposare il cielo.

 

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