Wat Doi Suthep: meditare nel secolo.

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Se non hai visitato Doi Suthep
non sei stato a Chiang Mai.

(Detto thai)

Un breve ritiro di meditazione a Wat Doi Suthep, celebre tempio buddista nel nord della “terra dei thai”.

Chiang Mai è la seconda città della Tailandia ed importante centro culturale e religioso da diversi secoli -ospitò l’ottavo sinodo mondiale del Buddismo Theravada nel 1477-.
Doi Suthep è una montagna a circa 16 chilometri da Chiang Mai e riprende il nome dall’eremita Sudeva che visse lungo i suoi pendii per tanti anni. Appena sotto il suo picco (il monte è alto 1676 metri) è stato costruito il Wat Phra That Doi Suthep alla fine del (nostro) quattordicesimo secolo (il calendario thai segue un’altra numerazione, legata alla nascita del Buddha), uno dei templi più sacri del nord del paese. Si racconta che la sua pagoda dorata ospiti una reliquia di Gautama Siddharta, il Buddha.
Vi si arriva avendo ragione di 300 scalini ma la vista di Chiang Mai, dalla sua terrazza ed i diversi ambienti interni ed esterni possono valere la fatica.
Wat Phra That Doi Suthep, tuttavia, può anche essere una meta non solo turistica. Ospita difatti l’International Buddhist Center, inaugurato nel 2004 dall’abate Phrathep Varasiddhajan che offre programmi di meditazione Vipassana (nel corso di ritiri residenziali) ed insegnamenti buddisti.
In Oriente la pratica della meditazione implica tradizionalmente prendere (temporaneamente o meno) congedo dal mondo, focalizzando l’attenzione su strati via via più profondi del proprio sé.
Nell’ambito del Buddismo Theravada o di scuole che comunque prendono ispirazione dai primi insegnamenti del Buddha (ad esempio quella del birmano Goenka), difficilmente vengono proposti ritiri che durino meno di 10 giorni.
Va tuttavia detto che, per chi non è abituato, prendere un congedo così lungo e regolamentato dal mondo può risultare davvero arduo. Coloro che, malgrado l’inesperienza, decidono di avventurarsi rimangono, a volte, scottati. Spesso finiscono per abbandonare, “di ritorno nel secolo”, una pratica che richiederebbe, per essere efficace, una certa assiduità.
A Doi Suthep hanno invece scelto, come da antico insegnamento, una “buona via di mezzo”, offrendo ritiri di 3, 5, 7 giorni per i principianti. Chi riuscisse a farsi strada piu’ in profondità dentro se stesso, può poi approfittare di ritiri di 10 giorni o anche 3 settimane.
Prima di entrare nello specifico della meditazione Vipassana è bene accennare ai 5 obiettivi dell’insegnamento buddista. Questi sono:

1) La purificazione di tutti gli esseri viventi,
2) Il superamento del dolore e dell’attitudine lamentevole,
3) Il sollievo da ogni disagio fisico e mentale,
4) La capacità di cogliere l’essenza più autentica dell’esistenza,
5) La fine di ogni sofferenza.

Il metodo, la pratica per raggiungere questi 5 obiettivi è, appunto, la meditazione Vipassana (Vipassana Kammatthana), laddove, scomponendo il primo termine, Vi vuol dire “chiaramente” e Passana “vedere”.
“Vedere chiaramente che cosa?”

1) Che ogni cosa è instabile ed impermanente,
2) Che ogni cosa reca con sé fatica e non è mai integralmente soddisfacente,
3) Che nulla è sotto il nostro controllo.

Siamo naturalmente di fronte ad una visione pessimistica dell’esistenza che ha ripreso e sviluppato il paradigma ascetico upanishadico dell’India antica. Tuttavia: questa è. Dura da 2500 anni e reca con sé un nocciolo di conoscenza sapienziale anche se poi “molta acqua è passata sotto i ponti” e può essere interessante vedere come questi ed altri insegnamenti siano stati reinterpretati da maestri contemporanei come Jiddu Krishnamurti ed Osho Rajneesh.
La visione chiara della meditazione Vipassana può condurre alla piena consapevolezza di quanto attiene il corpo, le sensazioni, le emozioni, la mente e gli oggetti della mente.
Parlare di meditazione Vipassana, tuttavia, può anche essere generico perchè ne esistono diverse versioni, riconducibili ad altrettante matrici e scuole.
A Doi Suthep si segue la tradizione birmana di Mahasi Sayadaw e quella tailandese di Ajahn Tong.
In pratica viene insegnato ad alternare la “meditazione seduta” con la “meditazione camminata”. Di base, nella meditazione seduta, bisogna mantenere l’attenzione sul respiro, ripetendo tre volte “entra”, nel momento in cui si inspira, ed “esce” nel momento in cui si espira o “sale” (in questo caso focalizzandosi sull’addome) e “scende”. La ripetizione aiuta molto l’ancoraggio all’oggetto di attenzione -il respiro-, a vivere l’atto con una consapevolezza via via più profonda.
Stesso metodo viene usato con la meditazione camminata. In questo caso non si ripete “entra” ed “esce” ma: “alzo la gamba destra”, “poggio il piede destro” e poi “alzo la gamba sinistra”, “poggio il piede sinistro”. Naturalmente i passi vengono fatti a rilento, per focalizzare l’attenzione sul caleidoscopio di sensazioni fisiche. Nel momento in cui intervengono elementi di disturbo legati ai sensi (rumori, odori, ricordi legati ai sapori, immagini) o ai pensieri bisogna farne oggetto di consapevolezza, ripetendo, a seconda dei casi ed ancora tre volte: suono, immagine, odore, sapore o, probabilmente il più delle volte, pensiero.
A fronte di questo schema generale ci sono diverse varianti. Queste vengono comunicate direttamente dall’insegnante (a Doi Suthep è generalmente un monaco) al discepolo durante un incontro privato, una volta al giorno.
In principio le sessioni di meditazione seduta e camminata durano 15 minuti poi si può aumentarne la durata. Scandiscono il ritmo della giornata, nel corso del ritiro. Dopo ogni meditazione seduta e camminata ci si può rilassare per 15-20 minuti, senza sdrairsi o avere atteggiamenti scomposti. Si può, tuttavia, godere del silenzio, di un bel panorama, di una tazza di tè e lasciare libera la mente di vagare come crede.
La giornata ha inizio alle 4.30 del mattino. Alle 5.00 si deve essere in sala di meditazione per la pratica mattutina. Alle 6.30 si fa colazione ed alle 8.00 è il momento del Dhamma Talk, il discorso dell’insegnante ai meditatori. Alle 11.00 si pranza e, dopo mezzogiorno, non è più consentito, sino alla mattina successiva, assumere del cibo solido. Alle 3.00 del pomeriggio si incontra individualmente l’insegnante ed alle 6.00 di sera si può assistere ad una suggestiva cerimonia, nel cuore del tempio: i canti serali dei monaci.
Ci sono diverse regole cui i meditatori debbono attenersi, ad esempio non parlare tra di loro, non indulgere a nessun tipo di attività sessuale intenzionale e non uccidere alcun essere vivente.
Ogni meditatore ha una propria, spartanissima, stanza. La pratica della meditazione Vipassana, per come l’ho brevemente presentata, può risultare un po’ elementare -ci si muove sicuramente fuori da una dimensione intellettuale- ma sembra davvero che funzioni. Molti praticanti sono passati a Doi Suthep, lasciando scritti lusinghieri commenti. Aiuta senz’altro a privilegiare un’attitudine di maggiore ascolto che può indurre piccoli-grandi risvegli alla pienezza della vita, alla comprensione di quanto ogni momento possa essere appagante, in un modo o nell’altro, se si è davvero consapevoli di quello che accade attorno a noi, di quanto registrano i nostri sensi. Questo può ridimensionare drasticamente la frenesia del desiderio (principale causa di sofferenza nella tradizione buddista) o, per usare un concetto occidentale, quello che il sociologo francese dell’Ottocento, Émile Durkheim chiamava “appetito di infinito”.
Elemento peculiare dei ritiri di meditazione a Doi Suthep è il non essere del tutto isolati da coloro che in ritiro non sono. E’ difatti sufficiente salire un paio di rampe di scale e trovarsi nel cuore del tempio dove, di giorno, transitano turisti e pellegrini, con le loro macchine fotografiche e le bottigliette di soft-drinks e la sera alcuni laici, di passaggio, partecipano alla cerimonia dei canti con i monaci.
Questo può aiutare ad allentare un po’ di tensione inevitabile per chi ha preso congedo, pur per pochi giorni, dalle passioni del mondo.
Ho meditato 3 giorni a Doi Suthep; non ho trovato la via di uscita dal samsara ma, probabilmente, non smetterò di “meditare nel secolo”.